Oggi è l’ultimo giorno di novembre, mese dedicato alla Dea Feronia, divinità identitaria della Valle del Tevere e degli antichi popoli italici che abitavano l’Italia centrale. Il suo tempio principale è a Capena presso il Lucus Feroniae, ma ne esiste uno, parimenti importante, a Trebula Mutuesca, oggi Monteleone Sabino sulla Salaria, a pochi chilometri da Capena. A novembre secondo il calendario romano si svolgevano le Idi di novembre, che cadevano il 13, con le celebrazioni dedicate a Feronia, “dea dei campi o degli Inferi“.
La redazione del Il Nuovo per l’occasione ha deciso di pubblicare l’articolo che segue, redatto dalla giovane scrittrice Anna Silvia Armenise e per gentile concessione della libreria ‘Giardino dei libri’ di Bellaria, in provincia di Rimini, che lo ha pubblicato nel suo magazine il 16 novembre del 2021. Buona lettura.
La Signora dei Boschi
Mai come in questo periodo sentiamo la necessità di rinnovare il nostro legame con la Natura, messa in pericolo dalle azioni egoistiche degli esseri umani. Per anni ci siamo sentiti superiori alle altre creature terrene nonché slegati dalla Terra, dimenticando invece che siamo strettamente connessi ad essa. Fortunatamente, stiamo tornando sui nostri passi, sebbene lentamente e con grande fatica. Questo è il periodo perfetto, quindi, per riesumare un’antica tradizione per aiutarci a riflettere e rinnovare i nostri legami con Madre Natura.
Secondo il calendario romano, durante le idi di novembre, che cadevano il 13, si festeggiavano le Feroniae, le celebrazioni dedicate alla dea Feronia. Questa divinità era la custode dei boschi e la protettrice della natura e degli animali selvatici. Tutto ciò che cresceva spontaneamente dal sottosuolo, senza l’intervento umano, apparteneva al regno di Feronia. Perciò, era rappresentata anche come una dea della fertilità indomabile e delle sorgenti. Questo legame con le profondità l’associava all’inverno ormai imminenti e alle divinità infere. Quindi, non è un caso che la sua festa si celebrasse a novembre, il mese per eccellenza dei riti funebri e ultima data del Mondus Papet. Infatti, era definita “dea agrorum sive inferorum“, ossia “dea dei campi o degli Inferi“. La Natura si preparava a riposare, ma sotto la morsa del freddo la vita sarebbe comunque continuata a prosperare. Inoltre, le scorte per l’inverno che si raccoglievano in questa stagione erano essenziali e legate soprattutto alla caccia. Da Feronia, ovviamente, dipendeva l’abbondanza degli animali che popolavano i boschi. Propiziarsi questa dea era quindi vitale per la propria sopravvivenza.
Il culto di Feronia
Si trattava di una divinità molto antica, le cui origini si perdono nel passato delle prime popolazioni italiche. Si sa che il suo culto era diffuso soprattutto nel Centro Italia, tra Latini, Sabini ed Etruschi. Era giunto persino in Sardegna, dato che una delle sue più antiche città, fondata nel IV sec. a.C., era dedicata a questa dea, di cui portava lo stesso nome. Feronia era diversa da Diana, dea della caccia e della luna, poiché era vista più indomabile e ferina. Una vera Madre Natura che non si piegava agli esseri umani, divinità dei frutti nascenti che attendono di emergere dalla terra feconda. Infatti, il nome “Feronia” viene dal latino “ferus“, traducibile con “selvaggio”, “non coltivato”, “libero”. Dalla stessa radice viene la parola “fiera”, inteso come bestia selvatica. Una creatura misteriosa, ma benevola verso coloro che vivevano all’ombra dei suoi boschi. Legata all’idea di libertà, Feronia iniziò ad essere venerata anche dai liberti, gli schiavi liberati, e i plebei. Infatti, le Feroniae coincidevano con i Ludi Plebeii, ossia i Giochi Plebei. Questo perché Feronia era anche intesa come un ponte di collegamento tra ciò che è selvaggio e ciò che è civile. Dal punto di vista romano, uno schiavo era una proprietà, che solo con la libertà si “civilizzava”. Poco si sa sulle celebrazioni dedicate a Feronia. Tuttavia, è chiaro che il suo culto fosse molto sentito, soprattutto fra gli agricoltori. Le più antiche testimonianze delle sue feste annuali risalgono al regno di Tullo Ostilio, terzo re di Roma. Tuttavia, la sua più nota citazione appare nell'”Eneide“, in quanto madre del mitico re di Preneste, Erilio, a cui aveva conferito tre anime e tre vite per proteggerlo.
Poiché incarnazione stessa della Natura Selvaggia e Vergine, i suoi templi venivano eretti lontano dalle città o dai villaggi, situati nel profondo dei boschi, il suo luogo più sacro. Il tempio più famoso di Feronia si trovava nella valle del fiume Tevere, conosciuto come Lucus Feroniae.
Un altro luogo di culto molto importante era situato a Narni, in Umbria, in cui sorgevano un tempio pre-romano e un bosco di lecci, sacri alla dea. Quest’ultimo fu chiamato poi “Macchia Morta“, una volta distrutto. Nello stesso punto, nel Medioevo, fu installata una splendida fonte nei pressi della Rocca Albornoziana, in memoria di Feronia.
La “Sciamana” Romana
Essendo una divinità pre-romana, Feronia evoca la figura di una sciamana, una creatura dal sapore mistico e primordiale. Ella porta ordine nel caos e genera vita. Le sue conoscenze sono inaccessibili all’uomo “civile”, ma non sono precluse per coloro che osano avvicinarsi a Lei.
Se ci pensiamo, infatti, la natura selvaggia si trova nelle profondità di ognuno di noi, inibita dall’egocentrismo e dalla falsa (e vana) sensazione di superiorità umana. Feronia era un ponte tra ciò che è incolto e selvaggio e quello che è coltivato. Il suo potere prevedeva una comunione reciproca., un’eterna comunicazione.
Le due realtà, naturale e civile, non si dovevano escludere o annullare a vicenda, ma era sottinteso che convivessero in armonia.
Non è un caso che il picchio fosse l’animale sacro a Feronia. Secondo la tradizione romana, ma anche per molte altre culture indoeuropee, è simbolo del fuoco e della forza creatrice.
L’elemento fuoco è sia distruttivo che creativo. Pensiamo a una foresta che “sfrutta” il fuoco per eliminare alberi e piante morte, che la “soffocano”, e così rinnovarsi. Infatti, sono molteplici le piante che aspettano gli incendi per spargere i propri semi nella cenere fertile.
Ritorna nuovamente, quindi, il collegamento tra mondo dei morti e quello dei vivi nella figura di Feronia, dea del “sole che nasce” e aspetta sottoterra prima di splendere un nuovo giorno ancora in armonia con il Creato.
Anche noi abbiamo bisogno spesso di rinnovarci, di distruggere il nostro vecchio “Io” e farlo rinascere, prendendolo dalle nostre più segrete profondità. In un momento così particolare della Storia dell’Uomo, è giusto tornare sui nostri passi e riflettere sul rapporto che abbiamo stretto con la Natura.
Noi, infatti, non siamo solo suoi figli, ma anche suoi custodi e protettori. È nostro dovere aver cura di Lei. Che Feronia vegli sempre sulle nostre scelte.