Nella foto Alberto Moravia

Quest’anno, tra le altre cose, si celebra il 35° dalla morte di Alberto Moravia, scomparso il 26 settembre del 1990. Uno degli scrittori più autorevoli del Novecento italiano e non solo.
In questa intervista a Barbara Pastorelli, scrittrice Moraviana, originaria di Civita Castellana, e autrice di Avrei voluto essere un poeta, dedicato proprio al grande scrittore, parliamo di Moravia, della sua importanza e della colpevole dimenticanza degli addetti ai lavori nei suoi confronti.

Nella foto Barbara Pastorelli

Nelle presentazioni del tuo libro hai sempre sostenuto che Moravia non è ricordato per come meriterebbe. Perché?
“Alberto Moravia è scivolato nell’oblio, è finito nel dimenticatoio il giorno dopo la sua morte. Osannato tanto in vita, celebrato come lo scrittore e intellettuale per antonomasia, dopo il 1990, improvvisamente, è calato il sipario su di lui e su tutta la sua opera letteraria. Segno evidente di questo metterlo all’angolo è stato proprio non averlo omaggiato né ricordato in nessun telegiornale o documentario televisivo ad esempio nel 2020, l’anno del trentennale dalla sua scomparsa”.

La morte di Moravia per il protagonista del tuo romanzo è un vero e proprio un dolore. Quanto di te, lettrice instancabile di questo scrittore c’è nel tormento che hai narrato?
“Raccontare la morte di Moravia attraverso le parole sofferte del protagonista del mio romanzo mi ha permesso di affermare con forza quanto la perdita di uno scrittore importante quale lui è stato abbia scosso l’animo di un uomo che ha avuto la fortuna di averlo conosciuto in uno dei periodi più difficili della sua vita, diventandone poi suo grande amico. Come fervida lettrice di Alberto Moravia ho voluto solo rimarcare il fatto che la sua morte ha lasciato un vuoto incolmabile nella letteratura italiana, perché come scrissero alcune testate giornalistiche di allora, ‘con lui se ne andava definitivamente il Novecento’”.

Quale è il libro di Moravia a cui tu sei più affezionata e quale, invece, consiglieresti di leggere a chi vuole avvicinarsi a questo scrittore?
“Il libro in assoluto a cui sono più legata è La Ciociara. Romanzo che ho letto più volte e che ha poi ispirato la mia storia. Se dovessi però consigliare un libro di Moravia a una persona che non ha mai letto nulla di lui consiglierei vivamente Il Conformista, romanzo che quando uscì, nel 1951, fu stroncato dalla critica per i temi trattati, quali l’omosessualità, la ricerca disperata della normalità da parte del protagonista, anche a costo di commettere un delitto… Un noir, a mio avviso, che si legge tutto d’un fiato e che affascina e colpisce il lettore per l’attualità delle vicende narrate”.

Personalità complessa, originale e discussa, Moravia è sempre stato descritto come un uomo che per metà accettava il conformismo e per l’altra metà lo rifiutava. Concordi con questo giudizio?
“Non sono d’accordo e una prova del fatto che Moravia non è stato un conformista è proprio l’aspra critica al conformismo presente, come tematica dominante, nel suo discusso romanzo “Il Conformista”, in cui il protagonista è alla ricerca disperata della normalità; desidera essere come gli altri, vivere come vivono gli altri, asfaltando completamente la sua personalità. E qui emerge tutta la critica che lo scrittore rivolge alla classe borghese, evidenziandone fortemente la decadenza, soprattutto perché votata all’ eccessiva apparenza e a rapporti stereotipati”.

Nel tuo romanzo narri anche dell’amore di Moravia per Elsa Morante. Personalità potenti e scrittori meravigliosi ambedue. Tanto conflittuali però da lasciarsi. La fine del loro rapporto avvenne per fine naturale di un amore oppure per eccessiva rivalità intellettuale?
“La storia d’amore fra Alberto Moravia ed Elsa Morante è forse tra le più travagliate e complesse che ci sia stata nel panorama letterario italiano. Erano due caratteri diversi, con due personalità forti. Si conoscono all’apice del successo di Moravia. Elsa è una donna timida, riservata, ma piuttosto vulnerabile e, sin dal suo primo approccio col grande scrittore si sente inadeguata. Lei scrive da quando è giovane. Sarà la prima donna, nel 1957, a vincere il premio Strega con “L’isola di Arturo”, ad avere notorietà con romanzi come “Menzogna e sortilegio” e “La storia”, eppure… rivalità e competizione le faranno vivere questo amore per Moravia, che sposerà nel 1941, con tormento e sofferenza, fino a quando, dopo venticinque anni di vita insieme, caratterizzata da pochi momenti felici e tanti di litigi, incomprensioni e allontanamento, i due si separano definitivamente”.

Come viene “trattato” Moravia nella scuola italiana attuale?
“A scuola, generalmente, da quel che so, non si arriva col programma a studiare Moravia. Forse solo qualche accenno da parte degli insegnanti, ma niente di più. Alla maturità del 2023 ha destato stupore la traccia dell’analisi del testo su un brano tratto da “Gli indifferenti”. Nessuno se lo aspettava. È stata una grande sorpresa. Allo studente, oltre alla comprensione e analisi del brano, è stata chiesta un’interpretazione, elaborando una propria riflessione, sulla rappresentazione del mondo borghese criticato ampiamente dallo scrittore in questo suo primo romanzo d’esordio”.

Il tuo amore per Moravia è più un fatto di cuore o di sinapsi? Leggendolo ti ha conquistato più il cuore o la mente?
“Io mi sono avvicinata a Moravia durante l’adolescenza e nel periodo dell’Università. Da allora, nonostante abbia letto tutti i suoi romanzi, sento sempre il desiderio di rileggere qualcosa di lui. È come una boccata d’ossigeno. Il mio amore per Moravia è principalmente per la sua scrittura e per il suo modo originale di raccontare le storie. Quando rileggo i suoi romanzi o i tanti racconti mi soffermo sempre a pensare quanto sia perfetto il suo modo di scrivere. Il suo stile è semplice ma a volte austero, la sintassi elegante ed elaborata. Adoro particolarmente l’uso che fa della tripla aggettivazione, che devo ammettere, nel tempo, mi ha molto influenzata nel modo che ho di scrivere. Tutte le volte che c’è qualcosa che mi ricorda i suoi romanzi e tutta la sua vita un fremito nel cuore c’è sempre, perché, soprattutto dopo aver scritto il mio romanzo, sento un fortissimo legame con questo scrittore, quasi come lo avessi conosciuto davvero e ne sentissi molto la mancanza”.

Cosa ha rappresentato “Gli indifferenti” e di quanta attualità è ancora oggi pregno questo romanzo d’esordio di Moravia?
“Moravia iniziò a scrivere “Gli Indifferenti” all’età di diciott’anni, nel 1925, quando si trovava in convalescenza nel sanatorio di Codivilla, a Cortina d’Ampezzo, per curare la tubercolosi ossea che lo aveva colpito all’età di nove anni e che lo segnerà per tutta la vita, rendendolo claudicante. Quando il romanzo fu pubblicato ottenne il plauso della critica e del pubblico e fu considerato uno dei romanzi più interessanti di narrativa italiana di quel tempo. Temi centrali sono la decadenza e lo sfacelo della borghesia italiana, durante il regime fascista. De “Gli indifferenti” Moravia dirà che essendo lui nato borghese e facendo parte di una società borghese furono tutt’al più un modo per fargli rendere conto di questa sua condizione. Che poi sia risultato un libro antiborghese è tutta un’altra faccenda. La colpa o il merito è soprattutto della borghesia. Il romanzo, scritto nel lontano 1929, è ancora molto attuale, soprattutto per tutti i falsi bisogni che ci creiamo per non guardare in faccia la realtà, restando così sospesi in un limbo di indifferenza che risulta comodo e confortevole perché statico”.

Moravia, secondo Giacinto Spagnoletti, è uno scrittore “tenacemente avvinto ai suoi temi e personaggi, sino talvolta a identificarsi con essi: ma alla fine è lui medesimo la vittima delle proprie costruzioni a freddo, terminate solo per un malinteso rapporto con il pubblico”. Sei d’accordo con questo giudizio?
“Sono d’accordo in parte, non del tutto. La critica alla borghesia, il sesso, l’ipocrisia morale, l’incapacità di tutti gli uomini e donne, protagonisti dei suoi romanzi, di raggiungere la felicità, sono temi ricorrenti nei suoi scritti, ma non è vero, a mio avviso, che Moravia si identifica in essi. Spesso se ne discosta, ne resta lontano, creando una netta distanza fra l’io narrante e le vicissitudini, le conflittualità interiori, i malesseri, le miserie e l’impossibilità di accettare il proprio contesto sociale dei tanti personaggi dele sue storie”.

“La noia” racconta l’alienazione dell’essere umano. Un libro che, a mio parere, andrebbe letto per capire il senso primo ed ultimo della nostra esistenza. È questo, secondo te, il libro capolavoro di Moravia?
La noia rappresenta indubbiamente, insieme a “Gli indifferenti” il romanzo che ha lasciato il segno nel momento in cui venne pubblicato nel 1960. Non direi però che è il suo capolavoro. A mio giudizio i romanzi più belli, più suggestivi, carichi di pathos e di intimità sono “La Romana” e “La Ciociara” perché sono gli unici in cui, dietro i pensieri, le paure, gli affanni e i racconti delle due protagoniste, Adriana e Cesira, si cela Moravia stesso. Ne “La noia” tema centrale è l’incomunicabilità tra uomo e cose, tra uomo e uomo, tra uomo e società ma torna, ancora una volta, in modo preponderante, la critica verso la borghesia romana. Moravia sin dalle prime pagine concentra tutta la narrazione sulla storia d’amore del pittore Dino verso Cecilia e sul senso di noia, intesa come apatia, alienazione, disincanto che rende i due amanti dei perfetti sconosciuti: l’una distaccata e assente, l’altro impossibilitato ad amare. E alla fine sarà quest’ultimo ad arrivare all’amara consapevolezza del suo fallimento per un amore malato, inguaribile, perché a prevalere su tutto c’è e ci sarà sempre la noia”.

Moravia politico coincideva con il Moravia scrittore e viceversa. Perciò scomodo, troppo scomodo. È forse questo il motivo della sua dimenticanza letteraria? Volutamente assassinato dall’indifferenza, che lui ha descritto come pochi al mondo?
“Moravia fece politica alla sua maniera, ossia quella di uno scrittore attento e acuto osservatore degli eventi del suo tempo, senza mai restare coinvolto eccessivamente nei vari giochi di potere da cui si tenne lontano, restandone sempre indifferente. Nella raccolta di scritti politici, curata da Renzo Pari dal titolo “Impegno controvoglia” Moravia spiega perché non gli piace la politica, affermando che non gli piacciono i mestieri male esercitati. Essersi impegnato politicamente, divenendo europarlamentare quasi alla soglia degli ottanta anni, gli permetterà, come disse lui stesso, di evidenziare e rimarcare le sue ragioni non propriamente politiche, ma umanitarie, sociali, culturali”.

C’è un nuovo Moravia all’orizzonte?
“No, non credo. A 35 anni dalla sua scomparsa nessuno degli scrittori contemporanei ha ereditato l’originalità del suo stile e della sua scrittura. Non esiste nel panorama della narrativa italiana una figura di spicco come quella di Moravia. Manca il personaggio, mancano le sue idee, mancano le sue storie, manca il suo pensiero. Insomma, manca Alberto Moravia”.

Cosa speri venga fatto dalle Istituzioni in questo anno per ricordarlo?
“Non credo che le Istituzioni faranno qualcosa. Il 26 settembre 2025 sarà un giorno come gli altri; non per me, però. Io continuerò a ricordarlo parlando di lui attraverso il mio romanzo e cercando in tutti i modi di far avvicinare le persone ai suoi romanzi, perché Moravia non è lo scrittore annoiato e ossessionato dal sesso, ma un intellettuale di spessore e di rilievo, il grande romanziere innamorato della scrittura, che ha fatto la storia della letteratura italiana del Novecento”.

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