Il digitale, il suo sviluppo, i vantaggi ed i rischi. In questa conversazione con Roberto Giuli, Commissario della Polizia Postale, parliamo soprattutto dei rischi derivanti dall’uso inconsapevole di internet. In molti, infatti, non sempre hanno consapevolezza che l’importanza del mondo digitale viaggia di pari passo con la responsabilità dei comportamenti. Dal cyberbullismo alle truffe, dal proliferare di profili falsi alle fake news, dai messaggi minacciosi ad un uso distorto della Rete. Domande e risposte con un autorevole addetto ai lavori attorno al mondo della società digitale sempre più invasiva.

Commissario Giuli, quali i compiti, le competenze e l’organizzazione della Polizia Postale? «La Polizia Postale e delle Comunicazioni è una delle Specialità della Polizia di Stato che si occupa di prevenzione e repressione dei reati sul web. In generale le aree tematiche di interesse riguardano i reati contro la persona, la tutela dei minori e la lotta alla pedopornografia, il Financial cybercrime, il cyberterrorismo, la protezione delle infrastrutture critiche da attacchi informatici, il diritto d’autore e le truffe online. È organizzata in Centri Operativi di carattere regionale e Sezioni operative provinciali, le cui attività sono coordinate, strategicamente, dal Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni con sede a Roma.»

Cyberbullismo, messaggi minacciosi e offensivi, false notizie, furto di identità, truffe in rete… quale lo stato attuale per quanto concerne la consapevolezza degli internauti sui rischi del mondo digitale? All’aumento dei navigatori ha corrisposto un analogo aumento del comportamento responsabile?
«Come dicevo in precedenza, l’attività di prevenzione è uno dei compiti che la Polizia di Stato esplicita da sempre. Con l’avvento di Internet e, conseguentemente, del numero delle persone che, in ogni momento della giornata, utilizzano i vari device per connettersi ai servizi proposti dalla rete (acquisti on line, musica, socialnetwork, email……) è stato necessario espandere anche al mondo virtuale quell’attività preventiva prerogativa, fino a qualche tempo prima, solo del modo reale. La Polizia Postale e delle Comunicazioni si è fatta carico di “raccontare” il web ai ragazzi, ai docenti e ai genitori, mettendo in risalto quali pericoli, spesso nascosti e sottovalutati, potesse nascondere una navigazione non-consapevole. Dal 2006 “Una vita da social”, giunta quest’anno alla X edizione, ha già raccolto un grande consenso: gli operatori della Polizia Postale e delle Comunicazioni e degli Uffici Scolastici Regionali del Ministero dell’Istruzione hanno coinvolto oltre 2 milioni e mezzo di studenti sia nelle piazze che nelle scuole, 220.000 genitori, 125.000 insegnanti per un totale di 17.000 Istituti scolastici, 400 città raggiunte sul territorio e due pagine Twitter e Facebook con 127.000 like e 12 milioni di utenti mensili sui temi della sicurezza online. Sicuramente c’è ancora molto da fare anche in relazione al fatto che il web non è “statico” ma un mondo in continua evoluzione in grado di proporre sempre novità attrattive ma, allo stesso tempo, anche insidie sempre meno palesi.»

L’utilizzo del digitale nella nostra vita sarà sempre maggiore. Non sarebbe il caso di creare momenti di educazione digitale sia nel mondo della società, della scuola e del lavoro? Non crede che l’utilizzo forzato del digitale, causa Covid, abbia prodotto anche leggerezza (ad esporre magari i propri dati) nell’uso dei dispositivi, soprattutto tra le giovani generazioni?
«Gli operatori della Polizia Postale e delle Comunicazioni sono impegnati quotidianamente in quell’opera di prevenzione che vede coinvolti giovani e adulti. Sicuramente, nel corso della pandemia, si è manifestata la necessità di utilizzare la rete anche per quelle attività che, fino a qualche settimana prima del “Lock down”, non era pensabile potessero riguardarci. Pensiamo allo “Smarth Working” o alla didattica a distanza. Gli utenti, ad iniziare dai più piccoli d’età, si sono trovati nelle condizioni di dover utilizzare un PC o uno smartphone per seguire le lezioni, essere interrogati, interloquire con i compagni di scuola attraverso alcune applicazioni, prerogativa, fino ad allora, solo degli adulti.»

Nel 2015 la Cassazione ha confermato una condanna per molestie sessuali praticate via web ai danni di una minore, dimostrando i rischi cui conduce un uso distorto della rete.  Le molestie sessuali e l’adescamento dei minori, il cosiddetto “grooming”, nell’illusione dell’anonimato, in rete i minori risultano i più colpiti. Come si fa a riconoscerli e a denunciarli?
«Il “grooming “, ovvero l’adescamento online, rimane uno dei reati più subdoli e insidiosi di cui può esser vittima un minore. Per un minore non è sempre facile riconoscere il cyber-predatore che, abilmente, riesce a mascherarsi dietro falsi profili social, mostrandosi ben inserito “culturalmente” in quel mondo adolescenziale che vuole aggredire, sfruttando quella pervasività propria dei sistemi digitali. Importantissimo e fondamentale è il ruolo giocato dai genitori nel preservare i propri figli da questo fenomeno: il disagio da loro manifestato, inquietudine e tendenza all’isolamento, qualsiasi altra forma comportamentale inusuale sono solo alcuni dei segnali che potrebbero nascondere il fatto che sia in atto un tentativo di adescamento. Gli adulti, in sostanza, dovrebbero saper OSSERVARE. Nel caso in cui dovesse emergere che vi sia stato un tentativo o un vero e proprio adescamento ci si deve rivolgere alla Polizia Postale o a qualsiasi altro Ufficio di Polizia per denunciare l’accaduto, avendo cura di cristallizzare tutto ciò che è accaduto salvando chat, foto, messaggi consegnandoli agli investigatori. Nel caso in cui sia necessario avere delle informazioni, si può contattare la Polizia Postale attraverso il sito www.commissariatodips.it ottenendo così, dagli esperti della Specialità, utili informazioni su cosa fare.»

In un “alert” del 15 febbraio scorso della Polizia Postale si invitano genitori e ragazzi a porre attenzione all’ultimo trend autolesionistico, le “cicatrici francesi”, una challenge in voga sul social TikTok che sta spopolando tra i giovani delle scuole medie e superiori. In cosa consiste e cosa fare per contrastare questa nuova “moda” digitale, tenendo conto che i social network rappresentano un rischio per un giovane su quattro?
«Le challenge, sfide vere e proprie che, pur avendo il loro momento clou nella pubblicazione e condivisione sui vari social, in realtà vengono attuate nel mondo reale. I ragazzi, pur di ottenere quei like per loro sinonimo di popolarità, accettano e partecipano a queste sfide che mettono a repentaglio non solo la loro salute ma addirittura la loro stessa vita, correndo inutili rischi. Nel caso della challenge conosciuta come “cicatrice francese” l’adolescente, afferrando la cute all’altezza dello zigomo, la comprime con forza con le dita, provocandosi un ematoma per apparire più duro e temerario.»

Su Facebook, ma non solo, aprire profili falsi, utilizzando nomi diversi da quelli reali, è un fenomeno diffusissimo. Un fenomeno che, solo apparentemente, pone chi lo fa al riparo da conseguenze civili e penali. Cosa consiglia di fare quando ci si imbatte in richieste d’amicizia o messaggi privati e pubblici scritti da persone sconosciute?
«La “sostituzione di persona” è un reato vero e proprio previsto dal nostro codice penale esattamente all’art. 494. Sostituirsi ad un altro per trarne un vantaggio o provocare un danno ha sicuramente delle conseguenze per chi lo pone in essere soprattutto se prodromico alla commissione di reati ancora più gravi. Quanto appena detto fa sì che il comportamento che ognuno di noi deve adottare quando “frequenta” il mondo virtuale dei social deve essere molto attento, seguendo quelle regole che aiutano a proteggere tutta una serie di informazione, anche molto personali, che condividiamo attraverso i nostri post, i nostri like le nostre amicizie. Rendiamo il nostro profilo “privato”, consentendo solo a chi conosciamo veramente di poter accedere alle nostre informazioni; evitiamo di condividere notizie che permettano di risalire con esattezza al luogo ove si abita; non forniamo ad estranei la possibilità di capire quali siano le nostre abitudini; NON CONCEDIAMO AMICIZIA SUI SOCIAL A CHIUNQUE.»

“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” recita l’articolo 21 della Costituzione. Questo articolo trova nel mondo digitale il massimo dell’applicazione. Molto spesso però, e alcuni studi lo confermano, assistiamo anche a comportamenti che, nel mondo digitale, questa libertà la utilizzano in maniera strumentale e pericolosa. Cosa fare quando questa stortura capita?
«L’hate speech, la diffamazione, le minacce on line, sono forme di aggressività che le nostre norme individuano come reati. “La mia libertà termina dove inizia la vostra”: questa frase, pronunciata da Martin Luther King, dovrebbe essere il punto focale e di ispirazione al mio agire sul web ma, sulla base della mia esperienza sul campo, risulta lontana dalla realtà. Gli internauti spesso non sono consapevoli di ciò che fanno quando pubblicano commenti offensivi nei confronti di altro, pensano di poter agire nel completo anonimato, non percepiscono il disagio e il dolore che provocano nelle vittime bersaglio delle loro frasi. Anche in questo caso la persona offesa deve denunciare quanto accaduto, cercando di fornire agli investigatori quanti più elementi possibile per consentire l’avvio di un’attività d’indagine mirata.»

So che lei fa tanti incontri con i giovani e con gli anziani, che sono le fasce d’età più esposte ai rischi del digitale. In uno di questi incontri le ho sentito utilizzare il concetto di “fluidità del web”. Dall’alto della sua esperienza, cosa ci consiglia di fare di fronte a questa fluidità, che è veloce e costante, tanto quanto le modifiche stesse del web che avvengono ad ogni istante?
«L’idea di poter pensare ad un web “che scorre velocemente, fluido, in continua costante evoluzione” mi affascina, è un “PANTA REI” rapportato al mondo digitale di Internet. Non è facile stare dietro ai suoi mutamenti ma, se veramente si vuole vivere tutte le “positività” che esso ci propone, bisogna quantomeno provare ad aggiornarsi considerando, però, che ogni novità potrebbe nascondere delle insidie. Approcciare al mondo di internet tenendo ben presente le regole fondamentali che ogni internauta dovrebbe custodire nel proprio bagaglio è fondamentale.»

La società digitale è sempre più invasiva. Che rischio corriamo anche in termini di privacy?
«Quando navighiamo in rete, acquistiamo on line, creiamo profili sui social, lasciamo, consapevolmente o meno, delle tracce e, a volte, dei dati personali. Si dovrebbe scegliere con cura se lasciare i propri dati personali per un servizio Internet che non utilizzeremo mai, cosi come comprendere che la scelta di lasciare “pubblico” il proprio profilo social potrebbe generare una serie di conseguenze negative.»

Commissario, in conclusione, quindi “bello il web, ma attenzione”. Cosa fare nel concreto ogni qual volta avvertiamo che il rischio del digitale può trasformarsi in minaccia?
«Io, personalmente, adotto un sistema molto semplice: quando mi capita qualcosa che percepisco come “strano”, mi fermo; non vado avanti con quell’acquisto che sembra vantaggioso, non concedo amicizie a chi non conosco. Inoltre, utilizzo antivirus e antimalware che proteggono la mia navigazione, scelgo password “forti” per accedere ai vari servizi.»

Consigli, questi, semplici ma importanti; suggerimenti che, dopo la chiacchierata con Roberto Giuli, faremo bene ad adottare o a perfezionare, nell’interesse della civiltà. Che è materia sensibilissima, perché riguarda tutti, nessuno escluso.

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