Rovistando nel cestino della memoria cercando un volto, una storia che raccontasse il decoro, è riemersa la casa e il camino di Antonio, “Ntogno u zittu”. Era un contadino che abitava in una casa sulla via centrale dell’antico borgo, composta da un solo ampio locale con al centro un camino dove, da ottobre ad aprile, il fuoco era sempre acceso. Antonio non lo faceva spegnere mai. Viveva solo ed era di pochissime parole, non era assiduo di bar e osterie pur se amava il vino. Un alieno solitario. Qualche rara volta andava in giro per il paese, ma solo per ascoltare. “U zittu”, appunto. Per me quell’uomo mite e solo, costituiva un mistero intrigante, tutto in quell’ambiente emanava calore e serenità. Parlava, e raccontava l’equilibrio del decoro di un uomo che amava la sua solitudine. La mia curiosità andava a mille, avrei voluto sapere il segreto di quella armonia evidente, cosiì in contrasto con il soprannome, ma non l’ho mai fatto, solo una volta chiesi il segreto del fuoco.

I grandi ciocchi
Ho conosciuto la sua casa in inverno. Con mio padre andavamo da lui a consegnare la legna. La ordinava solo in grandi ciocchi interi, nessun taglio con l’accetta, nessun pezzo minuto. Solo pesanti tronchi di quercia da 25, trenta chili. Anche in quell’occasione era parco di parole, pagava mio padre che saliva quando avevo finito la fatica, e tutto si concludeva con un bicchiere alla salute. Come da accordi la consegna avveniva sempre dopo il tramonto quando il solitario Antonio faceva a piedi il cammino del ritorno dalla campagna, poco prima di cena. Non aveva trattorino né ciuco, né cavallo. La sua era una solitudine totale eppure tra quelle mura non c’era manco un vago sentore di tristezza. Manco a cercarla con il luminol.
Un fuoco che durava tutto l’inverno
Antonio acquistava legna da ardere almeno tre volte nella stagione del freddo e ogni volta si trattava di portare tre quintali di quercia o leccio o carpine o faggio, raramente castagno, salendo dieci altissimi gradini. Lui accatastava tutto ordinatamente in un angolo della casa in modo che l’ingombro non desse fastidio. Tutto si svolgeva in silenzio, con sincronia perfetta, come un rito antico, preordinato. Anche il cumulo di legna in quell’ordine perfetto spariva alla vista, sembrava non ci fosse. Una sera chiesi del fuoco. Antonio mi disse che era tutto molto semplice, il fuoco restava sempre acceso, perché la mattina prima di uscire copriva le braci con la cenere, così la sera al ritorno le trovava ancora ardenti, bastava scuoterle un po’ con l’attizzatoio e riprendevano a crepitare, una fiammella lenta che consumava i tronchi piano piano, ma in modo sufficiente a dare calore, rischiarare la notte, fare compagnia ai pensieri, dormire sereni.

L’ordine calmo e misurato del decoro
Il letto a due piazze era al centro della stanza rifatto puntino, la sovraccoperta proteggeva anche i cuscini e non presentava pieghette, pendeva liscia ai due lati senza toccare terra, se l’avesse vista mia madre avrebbe detto “impara”, il pavimento in mattoni antichi non era lucido ma pulito, il rubinetto del lavandino riempiva la brocca per la cena, nello sgocciolatoio erano tre piatti, sui fornelli della cucina il gas dava voce ad un sughetto di pomodori, e nell’altro fuoco l’acqua iniziava a bollire, nel camino la fiamma aveva ripreso a consumare i ciocchi del giorno prima. Era un quadro quella casa, un inno al decoro alla dignità e anche alla solitudine.

Sulla mensola romanzi e racconti di uomini soli
L’ultima volta, prima che la lasciasse per andare a vivere in un palazzo dove non c’era camino ma termosifoni, ho notato che sulla mensola del camino vi erano cinque volumi del Readers Digest, di quelli ben rilegati con copertina marrone e le rifiniture color oro. In uno c’era, in forma condensata , come consuetudine del Reader, “Il vecchio e il mare” di Hemingway e in un altro, sempre del mitico Ernest, il racconto “Il gran fiume dai due cuori”.
Storie di uomini soli, forse gli eroi di Antonio “U Zittu.







