I Capenati, un popolo di grandi artigiani, commercianti e bellicosi guerrieri che commerciava dal Tirreno all’Adriatico diffondendo modelli culturali originali. Il centro era Civitucola, città quasi idilliaca poiché costituita da insediamenti sparsi intorno a un lago da cui partiva un fiume navigabile, l’odierno Gramiccia.
Così, i più recenti studi raccontano fosse la città principale dei Capenati. Il volume “La Necropoli di Monte Cornazzano. Identità e memoria di una comunità”, presentato nei giorni scorsi presso l’Antiquarium Lucus Feroniae, tenta di svelare i segreti che ancora circondano la storia di questo popolo italico. Lo studio dà conto dell’analisi effettuata su 360 reperti rinvenuti nell’area sepolcrale durante gli scavi ufficiali che vanno dal 1906 al 1912 ma svolti, con le modalità “selvagge” di allora e conseguente carenza di documentazione utile a ricostruire la storia del sito in modo scientifico. Non sono mai stati studiati né esposti perché rimasti nei magazzini.
Per il 90% si trovano oggi presso il Lucus Feronia, il resto è sparso tra i Musei di Valle Giulia e Pigorini a Roma, Firenze e Bruxelles. La ricerca è dunque un tassello in più per scoprire meglio l’identità specifica di questa enclave. Lo studio accurato dei materiali rinvenuti nella necropoli dovrebbe aiutare a togliere il velo. Prima del sito di Monte Cornazzano, è stato studiato quello di S.Martino ed a breve seguirà il volume che indaga la necropoli della Saliere.
Etnia italica di confine, occupava 300 ettari
Etnia italica di confine dai tratti particolari e originali, i Capenati occupavano circa 300 ettari di terra fertile e collinare sulla riva destra del Tevere, comprendeva, oltre l’attuale Capena, le terre che oggi ospitano i comuni di Fiano Romano, Morlupo Civitella S. Paolo, Nazzano, Ponzano Romano con il sito di Ramiano ultimo avamposto oggi celato da un grande bosco, Filacciano, Torrita Tiberina, Rignano Flaminio, S. Oreste, Castelnuovo di Porto e Riano. Era un popolo che dalle alture affacciate sul fiume controllava un vasto territorio che a sud confinava con Veio a nord con i Falisci. Le sue genti a bordo di barche da fiume solcavano il Gramiccia fino al Tevere per commerciare con altri popoli italici mettendo in collegamento tribù di pianura e dell’Appennino centrale e fino all’Adriatico.
Per usi e costumi forti analogie con Eretum
Nelle premessa è scritto: “L’abitato di Capena era organizzato in vari nuclei, urbanisticamente indipendenti, disposti intorno al bacino ormai prosciugato del Lago Vecchio, dal quale partiva un corso d’acqua navigabile, il Fosso di San Martino-Gramiccia (l’antico Capenas). Campagne di ricerca mostrano una frequentazione continuativa per tutta l’età orientalizzante fino al IV secolo a.C., cioè nella fase storica in cui si collocano la maggior parte dei rinvenimenti nelle estese necropoli che circondano il centro… forte legame con le zone oltre Tevere, oltre che dalla scelta abitativa intorno ad un bacino lacustre, come ad esempio alla latina Gabi, è riscontrabile nell’analisi dei corredi funerari: all’apertura del comprensorio falisco verso l’Etruria si riscontra un forte legame di Capena verso l’ambiente italico e adriatico d’oltre Tevere. Il repertorio figurativo capenate (approfondito da Gilda Benedettini) mostra il ruolo di primo piano giocato da Capena nella trasmissione di modelli culturali in ambito prima sabino e poi nelle zone più interne della Penisola Italiana. Notevoli sono le analogie con la dirimpettaia necropoli di Colle del Forno (Eretum) posta dall’altra parte del Tevere. Nel corso dell’VIII secolo Capena si afferma come un centro fortemente impegnato nei traffici del Tevere ricevendo attraverso il fiume importazioni da aree anche distanti”.
Metà delle tombe ospitavano un guerriero
Delle 67 tombe scavate, 53 erano della tipologia “a camera”, 14 a “fossa”. Oltre la metà, 35, custodivano i resti di un guerriero con il suo corredo di lance e pugnali. I materiali sono compresi tra l’VIII e il I secolo a.C.
“La mancanza di contesti chiusi – lamentano gli autori del volume – causata dalla sistematica violazione delle tombe, unita alla difficoltà di datare puntualmente i singoli tipi, ha di fatto costituito il vulnus che ha impedito di elaborare una puntuale scansione cronologica, ma solo una sinossi delle principali morfologie attestate nelle diverse fasi e passaggi di fasi. “Purtroppo – denuncia lo studio- come avveniva molti dei corredi funerari provenienti dalle necropoli capenati sono stati oggetto della quota parte spettanti allo scavatore e al proprietario del terreno e quindi non reperibili, probabilmente confluiti in collezioni o dispersi in diversi musei, in Europa e in America, grazie alla mediazione di Francesco Mancinelli Scotti”.
Figura centrale nello scavo delle necropoli capenati. Nobile decaduto, giornalista, garibaldino, nato a Civita Castellana, Mancinelli Scotti fu protagonista degli scavi toccando tra gli altri Tarquinia, Narce. Lo studio ricostruisce pur tra molti buchi nella documentazione la storia di quelle campagne di scavo e racconta del ricco patrimonio decorativo utilizzato sull’impasto bruno, vera e propria cifra identitaria dei Capenati”.
