Leonardo varcò la soglia della chiesa la notte di Natale per la messa, voleva provare se tra quelle navate fosse possibile domare il suo dolore, demolire l’angoscia che lo teneva sveglio perennemente in cerca di un perché. Due anni prima nel giro di 20 giorni erano morti il figlio Felice e la madre Teresa, suo grande e unico amore. Era accaduto che una folata di vento aveva portato nella valle una nube velenosa che all’alba avvolse tutto il paese. Da lontano poteva sembrare nebbia salita dal fiume, invece portava morte. Entrò in ogni finestra e depositò come pulviscolo di polvere, febbre e dolore. Alle 10 il sole ruppe l’incantesimo, cacciò la nuvola ma nelle case i paesani invece di fare colazione iniziarono a contare i morti.
Felice aveva solo 18 mesi
Tra questi anche il piccolo Felice. Aveva diciotto mesi, camminava da poco, era vivace e sorridente, Leonardo pensava sarebbe venuto su un gran bel sognatore, forse un musicista. Improvvisamente invece fu costretto a ingaggiare battaglia per difendere la vita del bambino e sostenere Teresa in preda alla disperazione. Anche questo cedimento della sua compagna lo stupiva. Era lei la forza del loro mondo, non lui, e invece ora improvvisamente per colpa di quel vento infido, era il contrario, era solo nella tempesta. Leonardo e Teresa persero la guerra. Per Leonardo però era in agguato una seconda sconfitta. Teresa, dopo la morte del figlio, si mise a letto e si lasciò morire. Leonardo così scopri che lei amava Felice in modo assoluto tanto da non lottare per restare viva accanto a lui che aveva sempre detto essere il suo grande amore.
La disperazione
La disperazione lo ghermì come gli artigli di un rapace e lo accompagnò per sempre. Per contenerla camminava e camminava da dopo cena fino all’alba. Tornava a casa quando il bar della piazza accendeva le prime luci. Dormiva due ore, e poi andava nel suo buco sospeso nel muro perimetrale del borgo e iniziava a costruire piccoli aerei di latta. Erano la moneta per avere i sogni dei bambini nati dopo quella tragedia. Il patto era che loro portavano scritto su una paginetta un racconto fantastico, e lui regalava il modellino della macchina volante, con tanto di ali e ruote. Una biblioteca di sogni. Così, diceva agli amici, avrebbe saputo cosa avrebbe sognato il figlio, così l’avrebbe visto crescere e ritrovato anche il sorriso di Teresa. Una bolla di dolce follia che produsse un temporaneo sollievo ma poi l’angoscia riprese il sopravvento.
In fuga sui Monti dell’Atlante
Per questo la notte di Natale, Leonardo, all’inizio dei suoi giri, deviò verso la Chiesa e salì le scale. Era l’ora della messa. I banchi erano pieni di gente, il prete officiava, si mise in un angolo appartato tra il confessorio e la statua di un santo. Leonardo non era credente ma nemmeno ateo, era certamente un anarchico. Non amava le grandi religioni monoteiste, perché autoritarie, non amava le loro liturgie perché spettacolo, gli unici dei per cui parteggiava un po’ erano quelli dell’antica Grecia che considerava umani e democratici, però Leonardo aveva coscienza del sacro che abita gli uomini. Dunque era lì per incontrare la sua gente, per tentare di diluire insieme agli altri il suo dolore, condividere il mistero del sacro che in quanto tale era senza risposta come il suo disperato perché. A primavera Leonardo tornò a progettare il futuro e volò via dal paese a bordo di una gigantesca mongolfiera “fai da te’, agli amici disse che avrebbe sorvolato il mare e sarebbe atterrato in un villaggio dei Monti dell’Atlante, con sé portava la biblioteca dei sogni. Di lui è rimasto solo un disegno in china del suo amico pittore Milovan che lo ritrae vagando senza meta tra fogli scritti con calligrafia minuta.
La Messa di Natale
I suoi amici, i pochi rimasti, e molti di quei bambini oggi attempati adulti che scambiarono un loro sogno per un aeroplanino di latta, andranno a Natale, il magico solstizio d’inverno dei popoli pagani, alla messa di mezzanotte. Come Leonardo saliranno le scale della chiesa per lenire le angosce del presente. Lo faranno perché solo quello oggi è lo spazio della comunità dove alberga il coraggio di chiedere ai governi che vogliono portarci per mano a piccoli subdoli passi in una guerra mondiale, di fermarsi, di mettere in pratica l’insegnamento di separare due che litigano non di fornirgli attrezzi per farsi più male, di lavorare alla pace tra Russia e Ucraina, di bloccare il genocidio dei bambini palestinesi a Gaza in Cisgiordania, nel Libano. Pensano che solo lì, tra quella gente che coltiva il sacro del mondo, arda ancora e si celebri il senso dell’umanità.