«Ebbene, ti confiderò, prima di lasciarti, che io vorrei essere scrittore di musica, vivere con degli strumenti dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare, nel paesaggio più bello del mondo…». Così scriveva Pier Paolo Pasolini nel 1966 nel Poeta delle ceneri. Quella “torre di Viterbo” era in realtà la Torre di Chia, o castello di Colle Casale, poco distante da Bomarzo, immersa nella natura intatta della Tuscia viterbese. Un luogo remoto e magico, sorto su un altipiano circondato da forre e boschi, dove scorrono torrenti che nel Medioevo muovevano mulini e che oggi raccontano ancora il suono antico della terra. Un luogo in cui anche l’Ariosto, scriveva PPP, sarebbe impazzito di gioia.
Pasolini arrivò per la prima volta a Chia nel 1963, durante le riprese de Il Vangelo secondo Matteo. Scelse il torrente Castello, che scorre sotto la torre, come scenario per le scene del battesimo di Gesù. Fu un colpo di fulmine. Quel paesaggio, sospeso tra sacro e selvatico, lo affascinò al punto da tornare più volte, fino a decidere di acquistare la torre nel 1970. Lì, ai suoi piedi, fece costruire una casa che doveva essere in armonia assoluta con la natura circostante: una dimora discreta, quasi invisibile, con l’erba sul tetto, pilastri in legno, pavimenti in cotto e grandi vetrate che aprivano la vista sui dirupi e sui lecci. Il progetto, firmato dall’architetto Ninfo Burruano e dallo scenografo Dante Ferretti, era un manifesto di rispetto ambientale e di poesia architettonica.
La Torre di Chia, risalente al XIII secolo, appartenne nel tempo agli Orsini, ai Lante della Rovere e ai Borghese. Alta 42 metri, con mura merlate e due torri pentagonali, domina ancora oggi il Fosso Castello, nel cuore di un territorio abitato fin dall’epoca etrusco-romana. Pasolini la restaurò con scrupolo, preoccupandosi di non violare “il confine naturale fra la forma della costruzione e quella della natura circostante”. Vi trascorse gli ultimi anni, scrivendo Petrolio e molte delle Lettere luterane.
A Chia trovò solitudine e silenzio. Ingredienti necessari alla riflessione, ma anche la vicinanza sincera degli abitanti. Partecipava alla vita del borgo, discuteva con i contadini, promuoveva la bellezza dei luoghi. Nel 1974 ideò il concorso Case di Chia nel verde, premiando chi abbelliva il paese con alberi e siepi. E fu tra i primi a denunciare i rischi della speculazione edilizia che minacciava la Tuscia, chiedendo di «salvare la città nella natura». Le sue parole, pronunciate proprio sotto la torre in un’intervista al Messaggero, suonano oggi come una profezia: “C’è da salvare la città nella natura. Il risanamento dall’interno. Basta che i fautori del progresso si pongano il problema. Questa regione, che per miracolo si è finora salvata dalla industrializzazione, questo Alto Lazio con questa Viterbo e i villaggi intorno, dovrebbero essere rispettati proprio nel loro rapporto con la natura”. Chissà cosa penserebbe oggi di una Tuscia invasa dalla monocultura del nocciolo e minacciata dal Deposito Nazionale di scorie nucleari.
Oggi Chia è una piccola frazione di Soriano nel Cimino, comune di quasi 8 mila anime. La torre, appartenente agli eredi Pasolini, è visitabile solo esternamente, ma dal 2019, grazie alla cooperativa Il Camaleonte, è possibile accedervi in alcune giornate speciali, accompagnati da guide che ne raccontano la storia e il mito. Un sentiero nel bosco, il Sentiero Pier Paolo Pasolini, conduce fino ai piedi del castello, passando per sculture di legno, belvederi e cascate dove il regista girò alcune delle sue scene più poetiche.
In quel paesaggio sospeso, tra pietra e vento, si percepisce ancora la presenza del poeta: lo sguardo inquieto che cercava l’eterno nel volto antico dell’Italia contadina. Chia resta così, nel cuore della Tuscia, il luogo dove Pasolini trovò la sua ultima casa. Una casa tra arte, natura e vita.




















