Oggi la schiuma che con regolarità viene immessa nel Gramiccia e, da lì a poco,  finisce nel Tevere, era tanta, quasi beffardamente allegra.

Si aggrumava a mucchi,  qualche fiocco volava, un inquinamento quasi spettacolare, mai quanto lo scempio che rappresenta. Una vergogna che va avanti da anni. E prosegue con cadenza regolare,  come fosse la cosa più naturale del mondo gettare nel fosso acqua e sapone. Come fosse una vasca da bagno. Come fosse una fogna. 

Fiumi e corsi d’acqua in ogni dove si vanno recuperando, ci sono i Contratti di Fiume, finanziamenti regionali finalizzati alla salvaguardia delle risorse idriche. Per il Gramiccia nulla di tutto ciò, manco come buone intenzioni. E un fosso decaduto. Un tempo era sacro, oggi è figlio di un dio minore. La sua colpa è scorrere al confine tra i Comuni di Fiano Romano e Capena. Non si hanno tracce di interventi per bloccare questa scempio né, tantomeno, di progetti di recupero e salvaguardia.

Gramiccia figlio di un Dio minore, ma i ragazzi ancora praticano le sue rive

Eppure quello è un corso d’acqua  dove dimora un pezzo di storia, mulini e cascate. E’ trattato da orpello di risulta. I ragazzi, nonostante tutto, però ancora  praticano le sue rive. Non si viene a capo di questo sfregio ambientale. Lo scarico, con tutta evidenza, proviene dalla zona industriale di Fiano Romano, non è escluso che possa derivare da una industria locale o addirittura dal cattivo funzionamento del depuratore che serve, o dovrebbe servire, il consorzio di insediamenti produttivi. Sarebbe ora di indagare.

Domani il “Nuovo” consegnerà un dossier con gli articoli ed i video pubblicati in questi ultimi due anni – grazie al lavoro attento e continuo della sentinella del Gramiccia, Daniele Bizzarri – all’Arpa, Agenzia protezione ambientale del Lazio. E’ il minimo. Ed è ora.

 

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