La talea è l’araba fenice arborea. Un rametto di pianta che, tagliato con cura e sapienza e poi sistemato nel  terreno o nell’acqua, dà vita ad un nuovo esemplare. Domani inizia la novantaquattresima edizione della Sagra dell’uva di Capena ed è la festa della talea perchè si celebra una rinascita. Infatti, dopo anni di abbandono, le vigne sono tornate e oggi se ne coltivano circa 15 ettari tra uve bianche  e rosse. Capena ha di nuovo le sue etichette di Igp, Bellone e Merlot e, a breve, si aggiungeranno quelle prodotte dalla vigna appena piantata con barbatelle di Cesanese di Affile. La produzione è di circa 30mila bottiglie, piccolo e prezioso giacimento che àncora il presente di queste terre ad una storia  antica.

QUESTO IL WEEK END DELLA QUASI CENTENARIA SAGRA DELL’UVA

Domenica dalle fauci del millenario leone in via IV Novembre sarà distribuito un vino prodotto dai filari coltivati al sole delle Macchie, la zona della necropoli. Per molti anni non è stato così, tanto che vi era chi si chiedeva che senso avesse ormai organizzare un Sagra dell’uva quando l’uva non c’era più. Sembravano realisti e saggi invece sbagliavano perchè non consideravano la forza magica della talea. Ne avevo intravisto il potere una sera d’agosto, seduto su una balla di fieno rettangolare e acuminata. La talea era lì, nel fresco di una notte di luna piena, sul tavolo dove offrivano vino, vicino alla signora che distribuiva la pasta con il sugo di paperone, sul banco dei ragazzi che per un euro ti davano un bicchiere di frutta fresca e di cocomero.

LA FESTA NELLA NOTTE DELLA TALEA

Era la festa della trebbiatura organizzata dalla fattoria “Di Pietro”. Nell’aia ballava la gente che aveva conservato i campi e li tutelava con grande cura, chi aveva piantato nuove vigne e grandi orti, chi aveva preso in affitto immensi uliveti abbandonati, chi aveva installato il mulino per le farine speciali e quello modernissimo per macinare le olive e fare olio sopraffino. Erano i figli e i figli dei figli. Passato, presente e futuro.

DAL GRANDE INCENDIO DEL CEMENTO SI E’ SALVATA LA PIANTA REPLICANTE 

Il grande “incendio” del cemento che negli ultimi 40 anni ha percorso, attraversato, occupato  colline e pianure a nord di Roma non ha bruciato ogni cosa. Un rametto replicante ha resistito conservando il dna. Domenico Calicchia l’ha raccolto e su un ettaro di terra alle “Macchie” – tra le necropoli etrusche capenati – ha impiantato il “Bellone”, vitigno che nelle campagne di Aprilia, Nettuno e Velletri produce un vino bianco di pianura di alta gradazione. La pianta del Bellone – o cacchione – è molto versatile ed ha origini antichissime. Già in epoca romana la sua uva è citatacome “pantastica” da Plinio Il Vecchio. Domenico insieme ad altri, tra i quali Antonio Pelliccia, coltiva una vigna di 10 ettari di uve bianche e rosse. Si trova sulle alture delle Macchie che guardano verso Morlupo, Rignano, il Soratte. Da questi filari belli e curati viene oggi il bianco Castellaccio. Più avanti Yuri Petrongari ha piantato tre ettari di cesanese, il vino rosso autoctono del Lazio, la varietà più antica. La frutta è della cooperativa dei figli dei figli. Con la Fattoria Feronia hanno messo in produzione terreni incolti per realizzare un mega orto al motto di “Pensa globale produci locale”.

SI BRINDA CON IL VINO DEL CASTELLACCIO E IL CUORE LIETO

La sera della festa hanno portato – al costo di un solo euro – bicchieri colmi di cocomero e di melone freschi e dolcissimi e, in questi giorni, vinificano aiutando i padri come un tempo loro aiutavano i nonni. Si ripete un rito antico. Ed è un buona notizia. Se passate da queste parti, domenica c’è un ricco programma di visite a musei e chiese, una bella festa di popolo. Si brinda con il bianco del Castellaccio e il cuore lieto ad una storia che continua.

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