DDR come Daniele De Rossi, 16 come il numero della sua maglia, 615 le partite giocate, 8 goal in Champions, 48 in campionato, 30 derby disputati di cui 14 vinti, 2 Coppa Italia, 1 Supercoppa italiana, 1 mondiale con la maglia della nazionale italiana. Questi sono i numeri di un fuoriclasse del calcio che ha fatto sognare la tifoseria romana e romanista.
Daniele De Rossi, a fine stagione si sfilerà la maglia giallorossa, quella che ha amato e onorato nei 18 anni di permanenza nella squadra capitolina.

Il calcio ha perso il cuore.
E’ successo piano piano, negli anni abbiamo metabolizzato i cambiamenti. Le grandi famiglie italiane proprietarie delle squadre di calcio hanno lasciato il passo alle società straniere. Sono cominciati a girare più soldi. Poi è cambiato anche il calcio in tv, abbiamo assistito alla spettacolarizzazione inutile di uno sport che già di per se è uno spettacolo, i grandi colossi televisivi hanno acquistato i diritti, ricchissimi sponsor hanno immesso altri fiumi di denaro ed è così che il calcio ha venduto la sua anima al business. Tutto appare finto, di plastica. Il calcio è diventato tecnicismo esasperato e mega ingaggi, al confronto il Subbuteo regala un pathos ed un’imprevedibilità incommensurabili.

Prima che accadesse tutto questo l’Italia era il calcio nel mondo.
Lo scorrere del tempo è inesorabile e non perdona nessuno, nemmeno un campione come Totti, e oggi è toccato a De Rossi.
Non è stata neanche una sorpresa, perché se sei un calciatore e hai 35 anni il pensiero che sia quasi finita la carriera non può non venirti. Dunque cosa fa tanto male ai tifosi?

Quello del calciatore non è un lavoro come gli altri, vive delle emozioni date allo stadio che tornano indietro come un boato. I tifosi amano, esultano, ridono e piangono, questo sport attiene a qualcosa di ancestrale ed intrinseco nella natura dell’uomo. Non è possibile razionalizzare il calcio.
Totti e De Rossi hanno incarnato meglio di chiunque altro questa irrazionalità. L’amore pazzo che i tifosi provano per loro è dettato da qualcosa che va oltre la capacità di giocare un buon calcio, che peraltro c’è. I tifosi hanno potuto identificarsi con questi due calciatori perché provano le medesime emozioni, sono tifosi prima di essere campioni, sono romanisti prima di essere calciatori. È come se due ragazzi della curva sud indossassero la maglia e giocassero. Tutti i romanisti si identificano in Totti e De Rossi, per questo è come se tutti avessero smesso di giocare.
Il calcio è cambiato, Totti come De Rossi pagano lo scotto di essere in quella generazione di passaggio, calciatori “vecchie maniere” catapultati nell’asettico calcio moderno. “Sono proprietà dei tifosi della Roma” ha dichiarato Daniele De Rossi, quale altro campione direbbe una frase del genere?
Una società americana che non prova quel pugno allo stomaco per ogni partita persa, che non gli scorre nelle vene quella appartenenza, la fede calcistica, che non sa cosa voglia dire urlare allo stadio fino alle lacrime, non poteva far altro che dare comunicazione di fine rapporto di lavoro attraverso i social ad uno dei suoi collaboratori e non importa che sia un top player, un tifoso e un romanista come Daniele De Rossi.


Non c’è nulla di così mortificante come innamorarsi di qualcuno che non condivide i nostri sentimenti.
(Georgette Heyer)

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