Non piove da settimane. Roma è prigioniera di una bolla d’aria rovente e il Tevere, simbolo della città, si lascia tristemente ammirare vestito dei nuovi livelli di siccità che molto fanno pensare. Dedicata al Tevere, al ruolo cruciale che le sue acque hanno svolto e svolgono per Roma e per le regioni che attraversa, si sviluppa l’idea di raccontare degli Antichi Molini del Tevere.

Il Tevere in siccità fotografato da Matteo Nardone.

Acqua è commercio, vita, divertimento. Acqua è trasformazione, poesia. Acqua è pericolo nell’ instabilità degli elementi naturali.

Affresco raffigurante gli Antichi Molini nella Basilica di San Bartolomeo, Ph Matteo Nardone.

La storia degli Antichi Molini del Tevere è controversa. Considerati di valore da una parte, come straordinari meccanismi in grado di trasformare i chicchi dorati del grano in farina e, una fra le maggiori cause dell’inondazione del 1870 dall’altra. Fu in quell’anno che la commissione ministeriale dei Lavori Pubblici considerò la presenza dei molini galleggianti tra le cause degli straripamenti del Tevere e ne ordinò lo smantellamento. Vere e proprie opere di ingegneria architettonica fluttuante posizionati sulle sponde del biondo fiume, ne ricordiamo il più famoso, la mola del Fiorentini vicino alla Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini all’inizio di via Giulia.

L’utilizzo nell’antica Roma dell’Isola Tiberina come granaio presupponeva anche qui la presenza di molini sul fiume. Passeggiando sull’isola possiamo ammirare la Basilica di San Bartolomeo che al suo interno custodisce interessanti affreschi, quasi del tutto intatti, grazie ai quali è possibile osservare le strutture degli antichi molini.

Le testimonianze artistiche. Abbiamo visitato, all’interno della Basilica di San Bartolomeo, la piccola cappella di Sant’Adalberto fondata dalla Confraternita dei Molinari, sotto la cui protezione si erano voluti porre i Molinari. Di grande interesse la lapide marmorea sulla parete sinistra, scritta in italiano, che ricorda le vicende della cappella fino al 1626 e porta inciso nella parte inferiore un mulino ad acqua, simbolo della confraternita. Osservare con la giusta calma gli affreschi ci permette di immaginare una Roma lontana nel tempo ma che, se avesse accolto la sfida che i molini rappresentavano nelle potenzialità storicamente descritte, oggi forse sarebbero ancora parte del disegno architettonico della città e, perché no, trasformati in qualcosa di altro.

Umberto Mariotti Bianchi nel suo libro “I molini sul Tevere” analizza il problema dell’approvvigionamento della farina e della disponibilità del pane a Roma che per secoli rappresentò una delle maggiori preoccupazioni da parte dei governanti, perché la scarsità di quel genere di prima necessità provocava tumulti ed accresceva le tensioni sociali. Per fare il pane serviva il grano, e questo doveva essere macinato per ricavarne la farina. Ecco perché il Tevere pullulava di molini galleggianti. I molini in genere erano collocati accanto alle rive del fiume per consentire il trasporto del grano in entrata e uscita che dall’Alto Medioevo a metà Ottocento si faceva a dorso d’asino o mulo fin dentro le barche.

La struttura. Gli Antichi Molini sul Tevere erano costituiti da una coppia di zattere

Dettaglio Affresco nella “Cappella dei Molinari”, Ph Matteo Nardone

galleggianti affiancate: sulla più grande, la più vicina alla riva, erano alloggiate le macine all’interno della caratteristica “casetta”, spesso sormontata da una croce. Tra le due zattere era supportata la ruota a pale. Le zattere erano ancorate alle rive con lunghe catene. Una rampa in muratura e una passerella di legno permettevano l’accesso dalla riva.

In ogni Molino venivano impiegate mediamente quattro persone: due caricatori che trasportavano con animali da soma il grano e la farina, un servitore che operava alla mola ed era addetto alle riparazioni e un generico garzone per i servizi vari. In un molino venivano macinati ogni giorno circa 4500 kg di grano e la produzione veniva regolarmente registrata dall’amministrazione annonaria negli Specchi Dimostrativi.

Con la piena del dicembre 1870 e la successiva costruzione dei muraglioni i molini sul Tevere scomparvero definitivamente. Ma la memoria dell’acqua continua a raccontare per noi questa storia fra sfide architettoniche e commercio e ricordarne il valore, significa ricordare il valore stesso dell’acqua che, origine di ogni cosa, ci offre nutrimento.

La documentazione. Le foto degli affreschi sono state scattate in esclusiva per noi dal fotografo romano Matteo Nardone grazie al permesso e alla gentile accoglienza del Rettore della Basilica di San Bartolomeo, Don Angelo Romano.

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