di Nella Converti

Tor Bella Monaca ed i suoi abitanti sono tenuti in ostaggio. E se vogliamo raccontare il bello di Tor Bella Monaca dobbiamo avere il coraggio di affrontare i mostri.

La trasmissione “Spaccio Capitale” (su tv NOVE) poche sere fa ci ha raccontato un sistema in maniera chiara e brutale. Il cancro di questo quartiere va raccontato, studiato e poi combattuto. Ignorarne l’esistenza gioca solo a suo favore.

A capo abbiamo 13 clan, seguiti da chi lavora per loro e che in alcuni casi perversa in uno stato di povertà assoluta e degrado, immigrati che lavorano a basso costo e che sono facilmente scaricabili una volta “beccati” ed infine i consumatori: vittime di una ruota che fanno girare.

Lo Stato in questo territorio c’è. Soprattutto per quelli che tutte le mattine si svegliano per andarsi a guadagnare il pane in maniera onesta”. Questa è la frase pronunciata da uno dei carabinieri protagonisti del servizio andato in onda.

Ma alla domanda se la soluzione per il quartiere possa essere quella di incrementare la presenza delle forze dell’ordine risponde un altro carabiniere: “Non servirebbe neanche il doppio degli uomini che abbiamo, ma una riforma culturale”.

E questo è il punto.
La presenza dello Stato non può sostanziarsi solo nel lavoro svolto dalle forze dell’ordine.
25.000 clienti al giorno.
20.000 euro di guadagno al giorno per ognuno dei 13 clan.
100.000.000 euro di guadagno annuo dallo spaccio al quale vanno aggiunti i guadagni dalle ulteriori attività illecite.

Questa è Tor Bella Monaca.
Un quartiere dove la mafia sfrutta il disagio, la povertà ed il degrado per guadagni enormi. E nonostante la presenza delle tante realtà che resistono, la verità è che la cultura può essere un’arma ma senza un “esercito” non può vincere la battaglia.

L’intero quartiere è tenuto sotto controllo dai clan che hanno terreno fertile.
Quando il tessuto sociale è lacerato, la povertà culturale ed economica sono elevate, l’inclusione sociale totalmente assente, la mafia regna sovrana.
Chi lavora per loro è spesso la prima vittima di questo sistema.
Anche la gente onesta ha bisogno di denaro. E se sei povero, senza alcuna prospettiva futura, se qualcuno ti offre 1000 euro a settimana per un lavoro sporco non è così facile rifiutare.

Allora dovremmo tutti interrogarci su cosa serve a Tor Bella Monaca. Per prima la politica, seguita dalle forze dell’ordine e dalle tante realtà territoriali che dal basso lavorano ogni giorno in questo quartiere.
A Tor Bella Monaca serve un lavoro da parte di tutte queste realtà. Dove ogni tassello è fondamentale e deve venir coordinato da un progetto politico che necessariamente dovrà sacrificare il voto facile per creare un reale progetto per il quartiere.

L’errore fatto, e mi riferisco anche alle amministrazioni di sinistra, è stato quello di fondare l’intero “recupero delle periferie” solo sull’aspetto urbanistico: strade rifatte, nuove piazze, decoro urbano. Ma se poi quella piazza viene utilizzata dallo spacciatore cos’hai risolto? Niente.

La parola chiave per mettere in crisi il sistema è una sola: comunità.
Perché il disagio, la solitudine, la sofferenza e la povertà la combatti costruendo un’idea di società diversa.

Un’idea di società dove chi cresce in una famiglia di spacciatori sa che il suo destino non è segnato.
Dove il disabile che vive tra le alte torri può vedere abbattute le barriere che gli rendono impossibile vivere in un quartiere che era stato pensato per lui.
Dove il tossicodipendente non viene visto come un peso per la società, ma come un essere umano debole che ha bisogno d’aiuto.  
Dove la madre ed il padre di famiglia riescono a non cedere ad un lavoro sporco grazie ad uno pulito che possa garantirgli dignità.
Dove l’immigrato arrivato in Italia non si trova nella condizione di essere un disperato senza fissa dimora che viene utilizzato dai clan perché non ha garanzie, parenti ed è quindi a costo 0 per il mantenimento in caso d’arresto.

In breve: inclusione sociale.
Ma quella vera. Quella che potrà permettere non solo a Tor Bella Monaca di rinascere ma a tutte le periferie di non essere più tali. Perché si è periferia solo in relazione a qualcos’altro.

Se si vuole distruggere questo sistema e puntare alla reale inclusione sociale delle periferie lo si può fare solo così.
Ma è complicato. E per prima cosa, noi che facciamo politica, dovremmo mettere da parte la nostra brama di voti immediati e facili per dare al quartiere una nuova speranza. Una speranza che si costruisce in anni, coinvolgendo tutti i livelli della politica, le forze dell’ordine e tutte le realtà territoriali che provano ad accendere una luce nei luoghi dove regna il buio.

Foto di Luciano Losavio
Link del documentario: https://it.dplay.com/nove/spaccio-capitale/stagione-1-episodio-1/

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