Non ho dimenticato la furia di Claudio quando la notte dell’11 settembre del 1973 sfondò un tamburo per protestare contro il golpe cileno. Avevo 18 anni e non dimentico chi negli anni successivi dell’impunità strinse le mani dell’assassino e tra questi quel papa Giovanni Paolo Wojtyla che si vorrebbe santo.

Non dimentico quell’attore inquieto di Claudio Volontè. Abitava a Capena, giù alla Cesata, dove aveva acquistato e ristrutturato una casa, su tre piani che guardava verso Le Mandole. L’aveva fatta bella, ci abitava con la figlia e la moglie adorata. Quella sera appena appresa la notizia  della morte del Presidente Salvador Allende eletto dal popolo cileno, e che si era difeso mitra in pugno dai golpisti assassini, prese un grosso tamburo bianco e rosso, mi pare ricordo dell’ultimo film in cui aveva lavorato, “Niente a posto, tutto in ordine” di Lina Wertmuller, e uscì in strada suonando con la ferocia di una belva ferita. 

ATTRAVERSO’ TUTTO IL PAESE SUONANDO UN TAMBURO BIANCO E ROSSO

Uscì da Piazza del Popolo e salì su verso il bar di Fernando, oggi Bar Centrale, sempre urlando contro il generale fellone, contro il colpo di stato, per stare a fianco dei giovani inseguiti dai militari, molti dei quali sarebbero scomparsi per sempre, desaparecidos, legati incappucciati e buttati dagli elicotteri nell’oceano.

Chiedeva alla gente di Capena di scendere in strada insieme a lui. Non ebbe molto successo, quella sera , ma era tardi e ricordo che faceva freddo. Rimase disperato a suonare il grande tamburo a strisce bianche e rosse nel mezzo di una via di un paese lontano da Santiago del Cile migliaia di chilometri a fianco di chi scappava dai militari.

Capena allora aveva di questi poeti eroi tra i suoi abitanti. Io l’ho visto Claudio quella sera e sono stato con lui un po’. Tornavo da non so dove con il camioncino rosso di papà e lo trovai li piazzato che menava colpi feroci sul tamburo. Lo illuminai con i fari. 

I SUOI OCCHI ERANO FORNACI

Mi fece segno di scendere. Ci conoscevamo da anni perché lui, per un po’, aveva abitato una casetta in via Fornello a due passi dalla mia e dal deposito di legna che papa vendeva. D’inverno con la carriola, gli portavo quella tagliata per la stufa, uno, due quintali. Appena finito il trasporto, intabarrato in una giacca di lana di nonno che mi stava tre volte, e lui con un poncho da cowboy, ci si metteva seduti fuori e rollava due spinelli.

“Un segno di amicizia e pace” diceva a me liceale di provincia incantato. Nel buio quella sera di settembre i suoi occhi erano fornaci, illuminavano più dei lampioni. Mi sono fermato e l’ho raggiunto. Non ho fatto che questo, fermarmi e guardarlo con immensa ammirazione, stargli accanto mentre davanti alla scalinata di S.Antonio, di rabbia massacrava e sfondava il grande tamburo. Mi sono seduto sulle scale ed ho aspettato che la rabbia scemasse nel sudore. Poi Claudio è tornato a casa con il suo sfondato tamburo e la nostra sconfitta. Io ripresi il camioncino e dopo un giro, mi buttai sul letto in attesa del telegiornale della notte.

NON SI DIMENTICANO I POETI E GLI EROI

Claudio Volontè l’11 settembre del 1973 si ribellò alle violenze del mondo, all’uccisione di un uomo buono ed alla sorte dei tanti giovani che sarebbero morti nei mesi successivi per ordine di Pinochet; attraversò in solitudine l’intero paese, denunciando l’enormità di quanto accaduto in un posto alla fine del mondo, cercando  di svegliare una comunità intera. Sfondò di rabbia un tamburo bianco e rosso grande grande. Io non dimentico che no. Non si dimenticano i poeti e gli eroi se hai la fortuna di incontrarli.

L’ALTRO 11 SETTEMBRE 

Mi dicono che l’11 settembre oltre essere a data del golpe cileno è anche quellla dell’attentato alla Torri Gemelle. Si quella terribile tragedia che cambiò il mondo all’inizio di questo secolo. Da li vennero guerre e tragedie che ancora devono finire. Un gioco di ipocrisie che ha prodotto migliaia di vittime innocenti. Come tutti ho visto in diretta gli aerei arrivare addosso alle torri e il loro collasso. Come a tutti quell’attentato ha lasciato un segno profondo. Ma il fatto è che non avevo più i diciotto anni del ’73 quando uccisero un uomo che stimavo e avevo sogni a strafottere nel cassetto. Vissi quella tragedia come un fatto personale, come qualcosa che mi toglieva sogni e giovinezza. L’attentato alla Torri è stata una immane sciagura vissuta da adulto, mi ha lasciato sgomento e tristezza. Per la violenza cilena di 46 anni fa invece ancora oggi sono incazzato nero e se avessi un tamburo a strisce bianche e rosse lo sfonderei come fece Claudio perché quello fu un torto ai sogni di una generazione.

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