Il Comune di Ponzano ha intimato questa mattina ai gestori dei locali nella disponibilità pubblica, all’interno dell’Abbazia di S. Andrea in Flumine, di  procedere all’immediato rilascio dei beni  e delle aree limitrofe perché occupati, secondo l’Amministrazione, senza alcun titolo.

L’Abbazia deve tornare tra i beni della comunità, essere fruibile, perché lì sono stati spesi ben tre miliardi di soldi pubblici con i fondi del Giubileo 2000, pur di non mandare in rovina la millenaria struttura di cui fu primo proprietario il re franco Pipino il Breve. Insomma, siamo allo sfratto.

Cinque giorni di tempo per riconsegnare i locali

Nel caso si perda tempo, il Comune decorsi cinque giorni dalla ricezione della richiesta procederà secondo le norme di legge e cioè a recuperare i locali oggetto della disputa anche a forza, cambiando, se costretti, la serratura dei locali. 

Se questo dovesse accadere – il tempo limite scade venerdì prossimo –  l’Amministrazione intende rivolgersi alla magistratura anche in sede penale per ottenere un risarcimento dei danni patrimoniali che fossero derivati dall’occupazione illegittima dei beni oggetto della contesa che al momento si sta svolgendo in sede civile presso il Tribunale di Rieti.

Il Comune – come abbiamo scritto nei giorni scorsi –  vanta i suoi diritti su l’iconico monumento dove vuole realizzare il Museo storico e archeologico. La proprietà invece nega i diritti dell’Ente locale e chiede di tornare in possesso dei 200 metri quadri di seminterrato del monastero, che venne concesso al canone di mille lire l’anno in base ad una convenzione stipulata nel 1997. L’accusa è che il Comune in questi lunghi anni non ha dato seguito ai suoi progetti. Il sindaco di allora, e degli anni successivi, abbandonò infatti subito nel cassetto l’idea del museo e concesse i suoi spazi agli stessi gestori dell’Abbazia che viene utilizzata e affittata per matrimoni.

I locali dati al privato per 1000 euro l’anno alla Banda musicale

Canone mille euro l’anno di contributo per la Banda Musicale. Subito il seminterrato, che doveva essere ad uso pubblico, ottenuto così a  buon prezzo venne dato in uso ad una società terza ora in liquidazione. Attualmente ospita un Istituto di ricerche e comunicazione. E’ una intricata storia di malagestione di beni pubblici. I locali affidati in comodato al comune non potevano essere concessi in uso ad altri, i gestori del complesso religioso non potevano, a maggior ragione, utilizzarlo e tantomeno metterlo a reddito.

Ora siamo al redde rationem, alla resa dei conti. Il Comune non intende recedere né fare compromessi. Si ristabilisce la legalità. In quei locali va realizzato il Museo, null’altro. La guerra dell’Abbazia continua.

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