Si parla al plurale, dicendo noi, e già questa può essere una vittoria. Lo fa notare Vanessa Losurdo, del Biodistretto della Via Amerina e delle Forre: “I due sindaci hanno detto noi, i territori non hanno confini. Li creiamo noi per motivi politici, ma il territorio è nostro, è di tutti”. Siamo a Faleria, all’incontro di sensibilizzazione sul Deposito Nazionale di rifiuti radioattivi e di preparazione alla grande manifestazione che ci sarà l’11 maggio a Corchiano. “Dove dovremo ribadire quanto già detto a Vulci: credevano che la Tuscia fosse un territorio espugnabile, ma hanno capito male – dice il sindaco di Calcata, Cristian Di Giovanni – non dobbiamo pensare solo al nostro, solo ai nostri comuni, ma dobbiamo fare rete, dobbiamo unire tutta la popolazione”.
Sulla stessa linea il primo cittadino di Faleria, Walter Salvadori: “Quella del Deposito Nazionale nella Tuscia è una decisione calata dall’alto senza consultazione alcuna dei territori, dei cittadini, degli enti locali. Si parla tanto di spopolamento dei piccoli centri, si parla di turismo sostenibile, di agricoltura biologica e la risposta è un deposito di rifiuti radioattivi?”. La storia l’avevamo ricostruita in questo articolo ma in occasione dell’incontro di oggi pomeriggio, organizzato dalla sezione Faleria-Calcata del Comitato No Scorie in collaborazione con il consigliere comunale Nicola Rinaldi, è l’ingegnere Marco Rossi a tracciare la triste parabola di quanto accaduto finora: “Lo chiamano deposito ma è una discarica. Il documento sulle aree idonee è pronto dal 2015 ma viene pubblicato solo nel 2021. Adesso siamo alla fase della Valutazione Ambientale Strategica, poi si passerà all’aggiornamento della CNAI (la Carta Nazionale delle Aree Idonee) e poi, nel 2026, alla trattativa tra Stato e Regioni”.

Delle 51 aree idonee ben 21 sono nella provincia di Viterbo, divise in due zone: l’Alta Tuscia, quella di Canino, Tuscania, Montalto di Castro, Cellere, e la Bassa Tuscia, tra Gallese, Corchiano, Vignanello. Un’area di incredibile importanza ambientale, storica, culturale, paesaggistica, dove la vocazione agricola è preminente, dove si registrano tassi elevatissimi di incidenza di tumori, dove da tempo si è deciso di investire in turismo alternativo e sostenibile. “Mentre noi lavoravamo al turismo della Tuscia, loro decidevano di fare di questo territorio la discarica d’Italia – commenta ancora Vanessa Losurdo – da cittadina trovo aberrante che non ci sia stata l’idea di chiedere a chi abita questi territori e a chi li amministra. Si allontaneranno le persone, si allontaneranno le imprese. Chi andrà a comprare un chilo di nocciole che viene da questo territorio?”.

Le amministrazioni comunali e le associazioni si sono sempre mosse in sinergia, ma adesso serve il coinvolgimento della popolazione. Per farlo bisogna anche smontare luoghi comuni e falsi miti. Come quelli legati ai rifiuti radioattivi ospedalieri e medicali. “La maggior parte di questi viene gestita all’interno dei centri di produzione stessi – spiega ancora Marco Rossi – il loro tempo di decadimento va da poche ore ad alcuni giorni. Una parte di essi, è vero, andrà al Deposito Nazionale, ma secondo le stime della Sogin al massimo l’8% dei rifiuti della discarica saranno medicali”. Per quanto riguarda il tempo di decadimento, i rifiuti a bassa radioattività che si prevede di stoccare nel DN hanno un tempo di rilascio di 300 anni, quelli ad alta pericolosità di migliaia di anni. “La soluzione migliore è quella dello smaltimento geologico, con cavità profonde chilometri. Una soluzione che in Italia non c’è e non ci sarà mai. Così governi che a malapena durano 5 anni promettono soluzioni per oltre 3 secoli”.
Una delega al futuro, una patata bollente da gettare in mano alle future generazioni. Una sfida che non ci possiamo permettere di perdere.
