“Il treno c’è”. Senza che nemmeno pronunciassi una sillaba, il capostazione mi aveva guardato, e tolto per un attimo la cornetta del telefono dall’orecchio, aveva annunciato la Buona Novella. Alla stazione di Rignano Flaminio, ogni mattina i pendolari attendono il miracolo. Il convoglio delle 6,52 più che un treno, è una Rivelazione. Ogni mattina il pendolare si reca in stazione dieci minuti alle sette e attende di udire il fischio del treno avvicinarsi. Alcuni, spinti da un intuito soprannaturale, oppure semplicemente guidati dalla forza dell’abitudine, arrivano alla stazione ferroviaria un po’ più tardi. Quel treno non è mai in orario. Ma non si conosce esattamente quando passerà. Può ritardare di cinque, dieci, venti minuti. Quel treno, se va bene, ci mette un’ora e venti, per arrivare alla meta: piazzale Flaminio. Un ora e venti per 38 chilometri di percorrenza. Una velocità di crociera di poco più di 30 chilometri all’ora.
Il drappello di viaggiatori in attesa alla stazione di Rignano è sempre più esiguo e molti scelgono il Cotral, l’autobus che arriva a Montebello, in trenta o quaranta minuti. Infatti quell’autobus è sempre più pieno. La Flaminia è intasata tutti i giorni: molti pendolari hanno rinunciato ai mezzi pubblici, per sempre. Vanno in macchina, cercando di parcheggiare vicino a qualche stazione intermedia, dove possono. L’autobus è sempre in ritardo per il traffico, le coincidenze con il treno urbano saltano. Saltano anche le corse: gli orari ad uno ad uno spariscono dal tabellone luminoso. I treni non sono in ritardo: semplicemente svaniscono nel nulla. Perché? Treni rotti, treni in manutenzione, macchinisti in malattia. Oppure corse che esistono solo sulla carta. I viaggiatori hanno smesso di farsi troppe domande. È così. E sullo sfondo, nelle praterie dell’immaginario collettivo, come una visione, un miraggio, come la terra promessa, il Mito: il “secondo binario”, i lavori di rifacimento di questa assurda ferrovia quasi centenaria che vengono annunciati da trent’anni.
La “corsetta” parte da Montebello strapiena, in quei vagoni vecchi, sporchi, malandati, rumorosi. Molti si fermano in piedi davanti alle porte, in cerca di un po’ di aria. Quelli che salgono si lamentano, protestano, dicono di fare spazio. A Saxa Rubra, il “nodo di scambio” più grande, è il delirio. Con gente che preme su altra gente per cercare di entrare su quell’unico treno (in ritardo) l’unico treno possibile per evitare di fare tardi al lavoro.
Lentamente la massa umana stipata nei vagoni viene trasportata verso Flaminio. Quando il treno si ferma nella vecchia stazione, sempre la stessa dal 1930, è passata un ora e mezza dalla partenza da Rignano. Forse quelli che hanno scelto il treno extraurbano, che hanno avuto fede, sono arrivati poco prima. O forse no perché il treno “diretto” (la sola parola fa ridere) era in ritardo, di cinque-dieci-venti minuti. Alla stazione Flaminio la folla scende dal treno, si sparpaglia e inizia a correre per prendere la metro, o l’autobus. L’ultimo mezzo per arrivare al posto di lavoro.
La stazione della metro A è strapiena di pendolari, manco a dirlo. Anche la metropolitana da un po’ di tempo accusa delle défaillance. Ritardi anche qui, con i marciapiedi che si riempiono, il convoglio che arriva già pieno di gente. E la scena si ripete. Spintoni per entrare, viaggiatori che cercano di uscire fendendo la massa di quelli in attesa di salire. A Roma ai pendolari si aggiungono i turisti. Sono un’enormità. Per fortuna scendono tutti a Ottaviano e la metro si svuota. A Natale inizierà il Giubileo: Roma esploderà di gente, i mezzi pubblici sono già insufficienti adesso, figuriamoci nel 2025.
Ancora quattro fermate e sono arrivato. Sono partito da casa alle sette meno venti. Entro in ufficio alle nove e dieci. Due ore e mezza di viaggio. Al ritorno altre due ore e mezza. Cinque ore al giorno. Cinque ore di lotta e di resistenza.