Coltivazioni di ulivi, noccioli, viti. Lo sguardo si riempie di bellezza in questo angolo della Tuscia viterbese, dove natura e storia si fondono in un panorama di incontaminata realtà.

Corchiano, Vignanello, Gallese, Vasanello, Soriano del Cimino, fino a Montalto di Castro. E molti altri paesi.

È proprio qui, però, che potrebbe sorgere il deposito nazionale per lo stoccaggio di scorie nucleari, necessario per mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi delle centrali italiane in fase di smantellamento.

L’Italia ha detto “no” al nucleare con due referendum, nel 1987 (dopo il disastro di Chernobyl) e nel 2011.

A seguito di tale decisione è iniziata una fase di dismissione lunga e complicata, soprattutto per la gestione dei rifiuti radioattivi. Guardando al modello europeo, si è resa necessaria la costruzione di un unico centro per tutta la penisola, nelle cui strutture troveranno sistemazione definitiva le scorie a “molto bassa e bassa attività” e saranno collocate momentaneamente le scorie a media e alta attività.

Sogin è la società pubblica a cui è stato affidato il compito di individuare sul territorio nazionale le aree potenzialmente idonee a ospitare il sito di stoccaggio e lo scorso 13 dicembre 2023 ha reso nota la lista delle zone selezionate.

Sono 51, 21 delle quali si trovano in provincia di Viterbo.

Una sproporzione evidente, che salta all’occhio e che rischia di compromettere l’essenza più pura di un intero territorio a vocazione agricola.

Uno dei criteri utilizzati nella fase selettiva indica la strada verso un territorio che garantisca stabilità geologica, geomorfologica e idraulica. Un territorio nel quale non si entri in conflitto con la normativa vigente di tutela e di conservazione del patrimonio culturale e naturale.

Per questo motivo, al netto delle comprensibili reazioni emotive, appare poco chiara la spiccata attenzione verso la provincia di Viterbo quale papabile scelta per ospitare il deposito: area sismica e vulcanica, vicina ai centri abitati, disseminata da falde acquifere e forre, cunicoli ancora in funzione di drenaggio.

Un territorio vivo, funzionante, in cui l’agricoltura genera reddito e garantisce prodotti di qualità riconosciuti: nocciole DOP, viti IGT e IGP.

Nessuna decisione è stata ancora presa, l’iter burocratico per la scelta definitiva è ancora in corso d’opera. Appare chiaro però che il Lazio è capofila nella lista delle possibilità, anche a causa della posizione geografica centrale e strategica.

I comuni selezionati non stanno a guardare: nella giornata di domenica 25 febbraio i cittadini marceranno in difesa dei loro territori.

Cammineranno fra le strade che raccontano storie antiche, dal paleolitico ad oggi. Lo faranno in tutela del loro lavoro e della loro identità di donne e uomini con le radici affondate in una terra ancora fertile che ha molto da dare.

Chiedono attenzione e risposte, quelle stesse mai arrivate nonostante le continue richieste nel corso degli ultimi mesi.

Un piccolo ma significativo spiraglio si è aperto, grazie alla mozione presentata in Regione Lazio dai consiglieri di opposizione Enrico Panunzi  e Mario Ciarla(PD), Marietta Tidei (IV), Claudio Marotta (Avs), Adriano Zuccalà e Valerio Novelli (M5S).

Tale documento chiede al presidente Francesco Rocca e a tutta la giunta regionale di “porre in essere ogni iniziativa utile finalizzata a scongiurare la realizzazione del Parco Tecnologico e del Deposito Nazionale, destinato allo stoccaggio di rifiuti radioattivi a bassa e media e alta intensità, in una delle 21 aree idonee individuate nel territorio della Regione Lazio”.

Durante la campagna elettorale per le scorse Regionali, l’allora candidato Rocca aveva dichiarato  “ancora una volta, la netta contrarietà all’ipotesi di stoccaggio nel territorio della Tuscia” annunciando come “una delle priorità del prossimo governo regionale  la tutela ambientale e la.difesa di peculiarità uniche delle diverse province”.

Ora i cittadini aspettano risposte concrete.

 

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