I teatri sono riaperti e la capienza è al 100%. Il problema, adesso, è che dobbiamo riempirli”. E Ariele Vincenti ha la soluzione: un teatro e uno spettacolo per tutti. Come il suo “La tovaglia di Trilussa”, al Teatro Vittoria dal 12 al 24 ottobre.

L’attore romano racconta come il suo nonno immaginario, Remo, custode dello Zoo di Roma, sia diventato amico del poeta durante le lunghe passeggiate tra le gabbie degli animali. Una sera, un Trilussa ormai settantenne lo invita a cena in osteria. E qui si inizia a viaggiare nel tempo: dagli inizi nei caffè concerto alle tournée in Europa e in Sud America, dal rapporto con il fascismo fino a quello con gli strozzini. Il tutto condito da quartini di vino e sfilatini burro e alici.

C’è tutta la Roma di un tempo, che Ariele Vincenti riesce a fotografare e a trasmettere in maniera genuina e vera, come negli altri suoi spettacoliAgo, capitano silenzioso” e “Marocchinate”. “È uno spettacolo popolare, emozionante e divertente in cui – spiega Vincenti – attraverso parole e aneddoti pubblici e privati del “Poeta di Roma”, racconto una romanità in via d’estinzione”.

 

Come è nata l’idea di uno spettacolo su Trilussa?

È nata insieme a Simone Cristicchi, che non è solo un collega, è soprattutto un amico, e poi è stata costruita insieme a Manfredi Rutelli e Nicola Pistoia durante il lockdown. C’è stato un grande lavoro di studio, di ricerca sulla sua biografia, sulla sua poetica, sulla Roma del suo tempo. Saremmo dovuti partire a ottobre dello scorso anno, poi la chiusura dei teatri ha bloccato tutto.

 

Da dove viene, invece, l’idea del titolo?

Nasce da uno degli aspetti della vita di Trilussa che più mi ha colpito. Dopo la guerra, quando ormai era vecchio e pieno di debiti, continuava ad andare a mangiare nelle osterie. Non aveva mai rinunciato al buon cibo, ma non avendo soldi per il conto pagava l’oste con una poesia scritta su un pezzo di tovaglia.

 

E c’è chi dice che con la poesia non si mangia.

Trilussa è stato uno dei pochi ad aver vissuto completamente grazie alla sua arte. Pirandello per guadagnare faceva il professore, così Pascoli. Trilussa no. E veniva stimato da tutti i più famosi autori dell’epoca: D’Annunzio, De Filippo, Morante. Era un grande intellettuale, in casa aveva oltre 2500 libri, ma allo stesso tempo era un uomo del popolo: passava dalle osterie ai pranzi con la Regina Margherita.

 

A proposito della monarchia, un aspetto che indaghi nel tuo spettacolo è proprio il rapporto di Trilussa con il potere, in particolare con il fascismo.

Trilussa era un “paraculo”. Durante la guerra non si definiva un “antifascista”, si definiva un “non fascista”. Con la dittatura ha convissuto, riusciva a prenderla in giro in maniera sottile, con poesie geniali. Galeazzo Ciano lo odiava, lo avrebbe mandato subito al confino. Mussolini no, da un lato lo temeva, dall’altro si divertiva. Trilussa all’epoca era una celebrità, non poteva essere toccato. E mentre D’Annunzio aveva scelto di schierarsi, lui rimase comunque libero. Era un anarchico.

 

Studiando la sua vita, qual è un altro aneddoto che ti ha colpito?

Il rapporto con gli strozzini. All’epoca lo strozzinaggio era legale e Trilussa, che amava la bella vita, chiedeva di continuo soldi in prestito. Quando non pagava, ovviamente, lo andavano a cercare. Per questo cambiò venti case. Ogni volta che lo cercavano, lui scappava. Scappava da esattori delle tasse, ufficiali, strozzini vari. Tra questi il più famoso era un tale “Spizzichino“, che scrisse a Trilussa una lettera di minacce. Quella stessa lettera che il poeta usò come prefazione di un suo libro. Solo in una casa si fermò per più di trent’anni: quella di Via Maria Adelaide, vicino Piazza del Popolo. Ci restò trent’anni grazie a un segreto: aveva la doppia uscita.

 

Cosa diresti a chi deve venire a vedere questo monologo?

Che è uno spettacolo per tutti, popolare e colto, raffinato ed emozionante. È un monologo moderno, dal ritmo veloce, aperto a tutti, come piace a me. È questo che dovrebbe fare il teatro di oggi, parlare a tutti, lasciare allo spettatore lo spazio dell’emozione, della riflessione, senza retorica. Così si recuperano gli spettatori, con il lavoro, con lo studio, con ore e ore di prove, con l’impegno. Perché aldilà del Covid, i teatri non si riempivano neanche prima. Il teatro deve diventare per tutti. Ecco, io in questo ci credo.

 

 


dal 12 al 24 ottobre 2021 (h 21.00, mercoledì 13 e 20 h 17.00, domenica 17 e 24 h 17.30)
TEATRO VITTORIA – ATTORI & TECNICI _ Piazza S. Maria Liberatrice 10, Roma (Testaccio) Botteghino: 06 5740170 – 06 5740598
Vendita on-line e info: www.teatrovittoria.it
Come arrivare: Metro: Piramide; Bus: 170, 781, 83, 3

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