di Maria Vittoria Massarin

 

Ieri pomeriggio non sapevo che avrei assistito alla presentazione di un “Signor Libro”, ma una volta arrivata alla Galleria Alberto Sordi, in Via del Corso a Roma, è bastato affacciarmi alle porte d’ingresso per godere di uno spettacolo singolare: i posti a sedere erano tutti occupati, ed in piedi quasi un centinaio di persone aspettavano pazientemente l’arrivo di Chiara Gamberale, autrice italiana di fama ormai internazionale. Solo questo, come sottolineato anche da Luca Briasco, presente in veste di “direttore” del dibattito, sarebbe bastato per dare un’idea di cosa rappresenti per molti “L’isola dell’abbandono”.  

 

Una volta arrivata la scrittrice, accompagnata anche dall’attore Lino Guanciale, il piccolo palco allestito davanti alla Feltrinelli si è subito acceso grazie ad una magnifica interpretazione di Guanciale che servendosi della magia che solo le parole scritte col cuore possono creare, ha regalato a tutti i presenti un biglietto d’ingresso nel romanzo. È facile intuire di cosa parlerà “L’isola dell’abbandono”, ma sentirlo raccontare dall’autrice lo ha reso ancora più facile. L’abbandono, ci dice la Gamberale, è una costante nella vita di tutti. Che sia un abbandono dettato da scelte sentimentali, dalla vita, o da circostanze fortuite, è una delle esperienze più distruttive, ma allo stesso tempo formative che un essere umano possa provare, e la domanda alla quale l’autrice cerca di dare una risposta è tanto semplice quanto spiazzante:

Come facciamo ad abbandonarci se poi possiamo noi stessi essere abbandonati, anche dall’illusione che ci eravamo creati?”

Ed è con estrema semplicità che Chiara rivela di non avere una risposta, ma di essercisi avvicinata durante la stesura del libro, “perché lo sapete, è per questo che scrivo, lo faccio per rispondermi e per capirmi meglio”. È vero, questo libro non è andato come inizialmente immaginava, ma la sensazione è che raggiungere la nuova mèta sia stato tanto difficile quanto gratificante, ed una prova sono stati gli altri due estratti letti nel corso dell’incontro. Di quest’ultimi Chiara si è servita per spiegare che l’ambientazione chiave del romanzo sarà l’isola di Naxos, creando un parallelo con il mito di Teseo ed Arianna, la storia dell’abbandono per eccellenza, e per introdurci ad una scelta curiosa ma piena di significato: tutti i nomi dei suoi personaggi avranno origini greche ben precise. Lo psicanalista col vizio di portare il lavoro anche fra i suoi amici per esempio, si chiamerà Damiano, colui che in greco “domina” e “manipola”. Nonostante queste caratteristiche non sempre positive da lei stessa attribuite ai personaggi, la Gamberale ci tiene a precisare che non li giudica mai, così come nella sua vita, cerca sempre di andare oltre, capire le forze esterne che agiscono sulle persone per portarle ad agire in un determinato modo. 

La cosa che più colpisce è quanto Chiara Gamberale sia trasparente, quanto sia pronta a farsi leggere da tutti noi che considera amici, e che apprezza come tali perchè “se leggete quello che scrivo vuol dire che abbiamo degli interessi in comune, no?”. Il libro tratta temi importanti che possono risultare pesanti se non trattati con maestria e, stando a quanto ha detto Luca Briasco in uno dei suoi interventi, Chiara ci è riuscita alla perfezione, facendo di questo romanzo un punto di arrivo per la sua scrittura, la sintesi perfetta della sua evoluzione stilistica, facendo sì che un ritmo perfetto scandisca ogni pagina del libro, rendendo la lettura più leggera ma allo stesso tempo più significativa. In conclusione, vale la pena citare l’autrice in uno dei suoi interventi più incisivi; parlando della scrittura in generale la Gamberale si è lasciata andare ad una frase per rendere giustizia a tutte le scrittrici di romanzi:

“Trovo che sia ingiusto che quasi sempre, quando un uomo scrive d’amore, sia considerato coraggioso, mentre quando una donna fa la stessa cosa si pensa immediatamente che abbia sentito il bisogno di rifugiarsi in un tema sicuro perché non ha studiato.”

Applausi.

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