Troppo spesso, guardando al passato abbiamo pensato alla lontananza degli antichi, la realtà è che erano esseri umani come noi, con gli stessi bisogni, passioni, sognavano e viaggiavano. Erano popoli di poeti, filosofi e artisti. Figli del loro tempo. Molto spesso, percepiti troppo lontani per riuscire a capire quante sfumature e somiglianze avessero con noi.

Tempio di Atena Nike, foto autore
Culla della democrazia

Il V secolo a.C. ad Atene è costellato di splendore, viene riedificata l’acropoli, meravigliosa, con tesori che ancora oggi svettano e posano gli occhi sulla città; il Partenone, l’Eretteo con la loggia delle Cariatidi e il monumentale accesso alla zona sacra.

Sotto Pericle, Atene vede il suo splendore dal punto di vista politico, era la polis portabandiera della grecità, colei che difese la piccola Grecia dal gigante persiano.

La storia racconta che la Atene dell’ultima parte del V secolo dovette misurarsi con un evento bellico di notevole portata, la guerra del Peloponneso. Battaglia memorabile contro Sparta.

Atene nel 430 oltre alla guerra imminente contro Sparta, dovette affrontare qualcosa di imprevedibile, un’epidemia. Questa fetta di storia è raccontata da Tucidide, storiografo del V secolo a.C.

L’epidemia

Gli ateniesi, erano bloccati tra due fuochi: gli spartani alle porte e il male divampante nella città. Male non compreso dai medici, incurabile, egualitario e contagioso. Lo storiografo pone l’accento su quanto la malattia scardinasse gli uomini da tutti i valori umani, fondamentali nella società ateniese. La malattia viene chiamata “νοσος” (nosos), i greci tengono molto al significato e al peso delle parole, in italiano può essere tradotto come morbo, ma anche come miseria, malattia dello spirito, infelicità e patimento. Caratteristiche comunicate per volontà di Tucidide, nonostante le parole non fossero in grado di descrivere a pieno il male.

Arriva l’estate, il caldo torrido si fa sentire tra le vie rovinose della città, Pericle prende la decisione di chiudere tutti dentro la polis, divampa il caos. La città è spezzata, inizia il sovvertimento delle leggi, il crollo di tutti i valori morali, l’apice della decadenza culturale e sociale viene espressa nel capitolo riguardante le sepolture. Il rito funebre è scritto in un climax ascendente, culminante nell’amoralità, riflessa verso coloro passati oltre. Se per un attimo potessimo vedere l’Atene del 430 a.C. avremmo visto una distesa di pire, l’aria pesante satura di nero fumo e miseria, l’impressione non sarebbe derivata dalla città ma dalle scene derivanti dal rituale catartico: il riuso, il furto e la confusione delle pire. A chiusura del quadro, l’indifferenza, persone ormai spezzate dalla pesantezza quotidiana, vanno via, senza fretta, imperturbabili, abituati alla nuova “normalità”.

Ingressi monumentale all’Acropoli, Propilei; foto autore
La fine

Il quadro si chiude con il discordo di Pericle, dicendo che solo insieme riusciremo a vedere la salvezza, la luce dopo tutto il male, contrapponendo due realtà: la città prospera e la città in rovina, entrambe riguardano tutti. Questo sarà il manifesto del terzo e ultimo discordo di Pericle agli ateniesi.

In che modo la lazione di Tucidide e Pericle raggiunge la nostra società?

A seguito di tragici eventi non bisogna perdere l’umanità e la sensibilità, unici leganti. Gli eventi tragici che misero la città di Atene in ginocchio, non furono lontani da ciò che viviamo tutti i giorni.

Ho un buon proposito per i mesi a seguire: riprendere quell’umanità tanto discussa, portarla a casa, magari in un sorriso e una mano tesa. Perché, come dice Pericle, solo insieme riusciremo a uscirne.

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