Un donna “medico” del ‘500, conosceva i poteri delle erbe e curava le persone. Morì con l’accusa di essere una strega, anzi una maestra di streghe. Si chiamava Bellezza Orsini e nel 1528, aveva meno di 50 anni,  si uccise con un chiodo arrugginito in una cella del Castello di Fiano Romano.

Donna medico bellissima e sapiente

Bellissima, libera e sapiente, sapeva leggere, scrivere e pensare. Ma conosceva bene anche la parte putrida del mondo dove regnavano principi e preti. Visse e morì tra le colline affacciate sul Tevere. Era nata a Collevecchio, riva sabina del fiume, tra il 1475/78, figlia naturale di Pietro Angelo Orsini. Prestò servizio presso gli Orsini a Monterotondo, visse errando tra Ponzano e Filacciano e qui  pensò di aver trovato il posto per vivere curando le persone.  Aveva casa e tranquillità economica. Nelle cucine del palazzo eretino dove lavorava conobbe  una “fattucchiera” di Ponzano, tale Lucia, che era imprigionata e con la quale diventò amica. Fu iniziata ai segreti delle erbe, alla conoscenza di formule magiche. In seguito sposò un cerusico. Rimase vedova prestissimo e iniziò a fare da sola. Nel paese dei Del Drago, come a Ponzano, Bellezza curava, curava i malati.

Bellezza curava i malati

Conosceva il rimedio “per il mal di reni – strofinare la parte dolente con lardo di porco maschio –  la ritenzione idrica – da curare con infuso di mandragora bevuto per venti giorni, che il malocchio si toglie sciacquando gli occhi con acqua di zampe di ranocchia”. E la formula “Nel nome di Dio e San Giovenale per sempre se ne va lontano il male”. Con la fama arrivarono però sospetto,  invidia e vendetta. Fu cacciata insieme ad altri da Filacciano. Più volte rientrò richiamata dai suoi paesani bisognosi di cure.  Per far “pace”, Bellezza decise di partecipare ad una processione della “Perdonanza” dal paese a Roma. Durante il viaggio un bambino si sentì male e morì. Fu chiamata al suo capezzale,  capì che non si sarebbe salvato, capì che non poteva fare alcun miracolo. I genitori del piccolo la accusarono  di omicidio e di essere una strega. Testimoniarono questo anche  suoi “pazienti” di  Filacciano e Ponzano. Venne arrestata e portata nelle segrete di  Fiano sede del Tribunale. Il collegio giudicante era composto da un “giudice bambino”, Marco Calisto da Todi e dal notaio Lucantonio da Spoleto.

Fu accusata di stregoneria

L’accusa mutò presto in quella di fattucchieria, poi stregoneria. Bellezza fu sottoposta a torture feroci e visti vani i tentativi di condizionare il giovane giudice con le parole e la sua femminilità, confessò ogni cosa: addirittura di essersi  congiunta carnalmente con il Diavolo, di essere andata con lui a cavallo, strega insieme ad altre streghe fino a Benevento. Erano accuse fuori di senno, ma nessuno volle intervenire per salvarla. Stremata e allucinata dal dolore, trovò la forza di scrivere, o forse di dettare al figlio tutta la storia.  C’è una frase in quelle righe disperate che dice: “La concrusione, lu fonno: quante più cose cierchi de inparare tante più sonno quelle che trovi da ‘nparare, che prima nemanco ne tenevi sentimento, e più vai inanti più vo’ ire e non te ne cuntenti. Cusì è la strearia».  La “strearia” per Bellezza è sapere che vuole sapere. La mente che coltiva il dubbio.

Dopo il testamento si suicido con un chiodo nel collo

Finito di dettare, congedò il figlio, rimase sola e si conficcò per due volte un chiodo arrugginito nelle vena più grande. La trovarono in un lago di sangue. Sul viso un sorriso. Aveva beffato il “giudice feroce e bambino che per lei  voleva il rogo. Se avesse vinto lui sarebbe morta tra le fiamme e il quaderno distrutto, così prevedeva la legge per una strega. Il suicidio invece evitò tutto questo e le sue memorie furono inserite nel fascicolo del processo. È conservato negli scaffali della Sala Alessandrina dell’Archivio di Stato e porta la data del 1540. Evitato il rogo, Bellezza Orsini si è incastonata nell’anello della storia come pietra preziosa.

 

 

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