Bianca, piccola e, soprattutto, con 6.000 anni di storia alle spalle. Stiamo parlando della ‘nuova’ cultivar di olive che è rinata nella Tuscia. Si tratta della Leucolea, in gergo scientifico Olea Leucocarpa, una varietà quasi perduta e rarissima, famosa per il suo colore candido.
Gli ultimi esemplari erano stati trovati in provincia di Reggio Calabria, precisamente a Ferruzzano, in un’area agricola abbandonata. Altri esemplari sempre a sud, in provincia di Cosenza, dove in un convento di Cappuccini alcune piante centenarie avevano ripreso a produrre i loro candidi frutti. Oggi questa specie rinasce a due passi da noi. Precisamente a Castel Sant’Elia, in provincia di Viterbo, grazie ad Alessio Grandicelli. “Finalmente posso presentare a tutti qualcosa di meraviglioso – ha spiegato attraverso un post su Facebook – Sono riuscito a far crescere un’oliva di oltre 3.000 anni fa. Un’oliva perduta nel tempo, completamente bianca. È il ‘leucokasos’, ossia l’oliva bianca dell’isola di Kasos”.
Comparsa per la prima volta in Asia, circa 6.000 anni fa, si trovano attestazioni della sua coltivazione in racconti tradizionali, testi religiosi e reperti archeologici. Veniva utilizzata nelle liturgie e nell’uso di lucerne, grazie alla sua proprietà di non produrre fumo e dal suo frutto si estrae l’Olio del Crisma, da cui ancora oggi prende il nome del rituale cristiano della cresima. Di questo olio, stando al racconto della Bibbia, si erano unti Davide e Saul prima delle loro imprese. “Sia a Bova che a Gerace, la città bizantina per eccellenza, tale olivo era considerato sacro e chiamato anche del Crisma, con diverse funzioni rituali: battesimo, cresima, ordinamento dei sacerdoti e dei vescovi, unzione dei malati e, a partire dal VII secolo per le cerimonie di incoronazione degli imperatori” aveva raccontato Orlando Sculli, dell’Associazione “Patriarchi della natura”.
L’“oliva bianca”, come dice giustamente la sua etimologia, è caratterizzata da un albero imponente, con portamento maestoso, chioma ampia e foglie verdi scuro, ma soprattutto da una particolare anomalia genetica. L’ha spiegato ad AgroNotizie Innocenzo Muzzalupo, ricercatore del Crea, che da anni studia la Leucocarpa: “A causa della sua colorazione, in passato Leucocarpa veniva associata al concetto di purezza e per questo veniva coltivata nei pressi di chiese e monasteri. L’olio ottenuto dalla molitura veniva poi usato per i riti sacri, come l’estrema unzione oppure la consacrazione di nuove chiese”. Anche l’olio che ne deriva, invece del caratteristico colore giallo-verde, è di un bianco quasi trasparente: “Il grosso problema di questa oliva è che l’assenza di pigmentazione fa risaltare ogni piccola imperfezione – spiega ancora il ricercatore – Basta un piccolo urto perché si segni di nero e questo comporta la necessità di prestare la massima cura nella manipolazione”.
Dalla Terra Santa alla Grecia, ecco che l’oliva bianca torna nel centro Italia, proprio dove più di due millenni fa veniva coltivata dagli etruschi. La Leucolea torna nella Tuscia, a Civita Castellana. E ci resterà per chissà quanti secoli.