Scrivere delle riflessioni critiche per Razza Canara, in scena di recente presso il Teatro Trastevere di Roma, non è stato immediato e nemmeno semplice. Ragionare sulle nefandezze dell’essere umano messe in scena cercando di invadere la quarta parete, impone un’analisi che ha avuto bisogno di decantare senza lasciarsi influenzare dall’impatto immediato con la drammaturgia proposta.

Il testo scritto da Alessandro Canale è da lui stesso introdotto da queste parole a mezzo stampa:”Una trentina di anni fa Roma fu teatro di un efferato fatto di sangue il cui responsabile, per motivi lavorativi e topografici, venne ribattezzato il Canaro della Magliana. Il delitto di cui si era reso colpevole era stato così cruento che ero sicuro mai avrei potuto né condividerne le cause né tantomeno comprenderne la reazione. Ma mi sbagliavo. Perché il Canaro, intervistato con morbosa insistenza dalla stampa romana, approfittò di ogni occasione per raccontare le angherie, le vessazioni, le umiliazioni che aveva subito per mano della vittima, finendo sempre per assolversi a causa di una specie di legittima difesa esistenziale. Bene, alla fine di quell’affabulazione reiterata, il Canaro aveva fatto una nuova vittima…il sottoscritto. Che non solo lo capiva, ma gli dava perfino ragione, convinto che al posto di quel poveretto chiunque si sarebbe comportato così. Per fortuna, quell’ infatuazione empatica non è durata tanto e al mio rinsavimento è nata l’idea di Razza Canara. Una genìa di esseri umani deviati che hanno compiuto delitti davvero inqualificabili ma che cercano di trascinare subdolamente voi spettatori all’interno del proprio modo di pensare, per trasmettergli i propri punti di vista, i propri valori, la propria etica personale. Non so se ci riusciranno, ma se alla fine dello spettacolo quegli assassini non vi procureranno l’orrore, il ribrezzo e il disprezzo che meritano, ma una velata forma di simpatia, sappiate che hanno appena fatto una nuova vittima. Voi”.

In un ambiente scenografico in cui i colori predominanti sono il rosso e il nero, vanno in scena cinque monologhi, come in una partitura a canone. Inutile cercare un nesso fra loro, in quello che raccontano i protagonisti: l’unico comune denominatore è il nero dei delitti dei quali si confessano anzi, si assolvono da soli.

Il cast dello spettacolo Razza Canara

In scena Silvia Augusti, Alessandro Capone, Emanuele Cecconi, Federico Mastroianni, Valerio Palozza guidati dalla regia di Emanuele Cecconi e Valerio Palozza che hanno scelto la quasi immobilità per i protagonisti. È interessante notare come in questa scelta sia possibile leggere il tentativo di far provare ancor maggiore disagio al pubblico presente. Come è possibile rimanere così statici di fronte a tanto orrore?

Le storie messe in scena hanno il pregio di non essere così assurde ma di appartenere al mondo del “possibile vicino di casa”. Un giovane sbandato che uccide la sua professoressa e rimane latitante, un rispettabile medico che si trasforma in un improvvisato Hannibal convinto che il male si possa trasformare in bene espiantando organi da una persona spiacevole a favore di malati in lista d’attesa. Una donna cieca che per non aver accettato la propria malattia uccide “per sbaglio” il marito. Un fidanzato vendicativo ed infine un killer, figlio del disagio sociale e della deprivazione culturale.

A cosa serve ascoltare questi monologhi? La risposta che per diverse ore ha vagato prima di prendere forma fra queste righe è semplice: a provare vergogna. Vergogna per un genere umano che sa fare persino di peggio se solo pensiamo ai recentissimi fatti di cronaca che hanno visto morire un giovane uomo di appena 18 anni per una scarpa pestata. Che cos’è l’onnipotenza? ci chiedono tutti e cinque i protagonisti nel sottotesto delle loro interpretazioni. L’onniptenza è credersi giudici di se stessi ignorando il principio sano della libertà come forma di tutela e non di sberleffo della stessa.

Ma la linea di confine è sottile quasi invisibile. Così come in Razza Canara lo è il mondo del possibile da quello dell’inaccetabile.

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