MOLTO VOCAL, POCO COACH
di Massimo Carrano

Non guardo veramente Sanremo, lo guardo per finta, credo di spiarlo, sbirciarlo passando vicino a televisori altrui, focolari freddi accesi da altri. Oppure alla radio, sì… molta radio.

L’azienda televisiva a partecipazione statale ha, negli anni, imparato che se vuoi sbancare a Sanremo devi impegnarti a costruire una efficace macchina del consenso, prima ancora di provvedere a mettere su lo Spettacolo. Ecco quindi Rai Radio2, ha il compito di attizzare in diretta il consenso intorno al festival servendosi della conduzione di vere e proprie nullità; che, hanno l’unico talento di starnazzare a tempo intorno ad ogni esibizione, sia essa della competizione o di contorno alla gara.

Nel tragitto che mi conduceva da Pomezia a casa mia intorno alla mezza notte li ho ascoltati commentare le esibizioni “in duo” dei cantanti senza il minimo spirito critico, in un miasmatico pozzo nero di aggettivi roboanti che ribolliva bugie anche intorno a prestazioni imbarazzanti, come quella di Morgan e del suo sconosciuto sodale; ma non solo.

Anche sulla carta stampata è un florilegio di imbarazzanti panegirici, che esaltano, al parti delle cose buone, ogni empietà, ogni vuoto cosmico dei copioni, qualsiasi sgargarozzata stonatura.

Sulle  pagine di Repubblica ad esempio, da giorni si adoperano alla realizzazione del piano, giungendo a smascherare la loro condizione di “embedded” anche due penne scarse e famose (o famosamente scarse, fate voi) come quella di Assante e Castaldo. E’ evidente che la Rai abbia provveduto a trasformare il clamore e la discussione intorno al festival come fosse “cosa sua”.

Allora diventa naturale che nessuno parli di Tiziano Ferro e del suo problema, non odierno, con l’intonazione. In un paese dove è più facile trovare un vocal coach che un defibrillatore, nessuno si sente chiamato a dire che il metallo naturale della voce di Tiziano è una regalo divino che andrebbe coltivato con lo studio, mentre al momento e forse da anni, viene sottoposto a prestazioni “culturistiche” fatte di spinte di fiato, chiusure della gorgia, cambi epocali del registro degni di ben altra applicazione alla pratica vocale.

Ci fosse almeno qualcuno che almeno fingesse di sapere la differenza tra avere una bella voce (adoro quella di Ferro) e il saper cantare; invece: Gnènte.

Così appare ovvio che nessuno fiati sull’esibizione di Giordana Angi che in un importante arrangiamento dei Solis String Quartet, canta, con intensa inadeguatezza, La nevicata del ’56 resa sacra da Mia Martini.

Che devo dirvi? Se avete orecchio andate a sentire voi stessi, e poi tornate qui a dirmi cosa ne pensate. Mi piacerebbe sapere se anche voi avete provato un senso di fastidio nel sentire quella bellissima realizzazione musicale usata per vestire un timbro incerto, una intonazione precaria, una prestazione imitatoria (s’era pure vestita come Mia) ed incongrua allo splendore del contorno acustico. Del resto, come si dice qui , “sto con l’orto e zappo i frati”, chi, pur pippa, direbbe no ad una orchestrazione così importante se la tua produzione è disposta a pagarla.

Certo è facile salvare tutti quando il fondo del barile è costituito da quei poveretti dei trapper i vitati al festival solo per poter alzare, nel giorno dell’esame,  il voto degli inetti raccomandati, e fare in modo che questi abbiano almeno la sufficienza.

Questo ho ascoltato e questo conosco. Non vorrei però dimenticare di elogiare le cose che mi sono apparse buone e le cose che mi sono apparse belle.

Irene grandi, insieme ad uno che non conosco, ha cantato benissimo, da par suo, “la Musica è Finita”  mentre Tosca che, ad oggi, è l’unico fiore vivo che si possa trovare a Sanremo, ha onorato la musica ed il canto, insieme a Silvia Perez Cruz regalando al cuore la nostalgia mediterranea nella quale ha saputo avvolgere una interpretazione appassionata, virtuosa ed eccellente di Piazza Grande, dimostrando, casomai ce ne fosse bisogno, che per chi sa cantare, il Tempo che passa è un amico.

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