Questa Itaca di inizio settimana è ambientata in Bolivia, nella sua Capitale per l’esattezza.

Tre giorni fa, a La Paz, metropoli più alta al mondo, posta a cartolina sotto l’imponente Cordigliera Reale delle Ande, di cui fa parte la splendida triplice cima dell’Illimani, è morto, a 80 anni, in una residenza militare per anziani, Mario Teràn Salazar.

Costui, che ho innocentemente maledetto chissà quante volte nei miei pensieri di gioventù, è il soldato che nel 1967, anno tra l’altro dei miei natali, uccise – in una scuola abbandonata di La Higuera, villaggio sui monti boliviani, alla presenza dell’agente della Cia Felix Rodríguez – Ernesto Che Guevara, leader della rivoluzione cubana.

Il Che, anche per gran parte della mia generazione, è figura diventata quasi mitologica. É il personaggio la cui vita ho letto e riletto tante volte, le cui gesta ho ripercorso in diversi film e le cui imprese ho anche fissato in almeno due racconti brevi.

Tanto per dire quanta alta sia stata, ed ancora lo è, l’ammirazione del sottoscritto per il Guevara…

Da qui, dunque, la mia antipatia, che in questo caso è avversità umana naturale, per il soldato, che il 9 ottobre di 55 anni fa, eseguendo un ordine, mise fine alla vita del Che, fatto prigioniero il giorno prima dai ranger boliviani del capitano Gary Prado Salmón.

Quello è stato il momento peggiore della mia vita” ha raccontato nel corso degli anni, ovvero da quando la rivista francese “Paris Match” pubblicò la sua foto, identificandolo come il sergente che ha ucciso il Che, Mario Teràn.

“In quel momento – ha testimoniato ad alcuni biografi di Guevara – ho visto il Che grande, molto grande, enorme. I suoi occhi brillavano luminosi. Mi sentivo come se fosse sopra di me e quando mi fissava, mi girava la testa. ‘Stai calmo’, mi disse, ‘e mira bene! Ucciderai un uomo!’. Così ho fatto un passo indietro, verso la soglia della porta, ho chiuso gli occhi e ho sparato”.

Quello sparo tirato da Mario Teràn è stato, probabilmente, uno dei colpi ideali più dolorosi mai registrati per larghi strati di diverse discendenze anagrafiche. Dolenza vera non ipocrita, tanto che la leggenda di Che Guevara è tutt’ora cosa viva tra molti giovani.

Resoconto storico vuole che il governo statunitense non fosse d’accordo con quell’uccisione: il Che lo avrebbe voluto vivo, per interrogarlo. Fu ucciso, invece. Fu fatto fuori dai capi boliviani per evitare che potesse continuare a suscitare empatia nel corso di un eventuale processo.

Aver saputo della morte di Mario Teràn, dunque, (‘pace comunque all’anima sua’… si direbbe dalle mie parti) per me e per altri come me, non ha fatto altro che riavvolgere nastri di tempo andato, ricordare letture consumate e riproporre film visionati a gogo. Memoria, in una parola. Tempi di un’Itaca, allora, in formazione. Bella quanto tumultuosa, genuina quanto strepitante. Un’Itaca che oggigiorno rimanda aneddoti e storielle. Evidentemente buone per pensarci su alquanto. In attesa di ‘buone nuove’ dal presente…

P.S. Il cadavere del Che, da quel giorno, e fino al 1997, fu seppellito in un luogo segreto dal governo della Bolivia. Ora, i resti di ciò che è stato sono custoditi nella città di Santa Clara, a Cuba, in un monumento a lui dedicato.

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