Nel tetris del nostro tempo sembra sia scomparso lo spazio per incastrare degli antichi precetti tipo “non alzare le mani”, “non fare a botte”, “non aggredire un anziano”, “è da vigliacchi assalire in gruppo”, “usare le parole per risolvere i contrasti”, “separare due persone che litigano”. Tutto questo nella schermata del vecchio gioco online oggi non trova più posto.
L’improvviso abisso
Nel caso dell’uccisione del giostraio di Capena, ma meglio sarebbe dire di tutta la valle, questo blocco si è palesato tutto insieme alla fine di una sagra di paese. Luigi Cena, 65 anni, è stato aggredito alle spalle da un branco di ragazzi dell’età dei figli, che dopo la bravata non sono scappati ma hanno infierito su un uomo a terra fino a provocarne la morte. Un’esplosione di violenza senza motivo da parte di giovani del luogo, nell’ultima sera di festa. Hanno agito con modalità da gang. La comunità sconcertata ha così visto improvvisamente il vuoto di un abisso, bravi ragazzi diventati assassini.
Non generalizzare
La scoperta ha creato brividi non solo a Capena ma tra le famiglie di tutti i comuni vicini. Quelle giostre sostavano in tutte le piazze. Ne è scaturita la generale presa d’atto di una verità terribile: non sapere cosa accade talvolta nella testa di ragazzi altrimenti in linea con la cosiddetta normalità, non è esclusiva di città alienate ma anche dei paesi dell’hinterland. Anche tra le vie e i vicoli dei borghi può allignare il mostro che, seppur silente, è in agguato ovunque. Scoprire che urla, rimproveri, e punizioni, talvolta non funzionano. Per esorcizzare la paura Capena si è ritrovata in due fiaccolate, ad entrambe hanno partecipato centinaia di persone. Come a dire che la cura è stare insieme, interrogarsi insieme, prendersi per mano. Ritrovare il senso perduto dei precetti che non si incastrano più nel gioco del tetris di alcuni, tenendo conto che invece trovano posto nell’agire quotidiano della maggioranza dei giovani. Generalizzare in queste vicende sarebbe peccato mortale.
Non bastano le telecamere
La risposta immediata a Capena come altrove è stata quella securitaria, ed è partita la corsa al “grande fratello”: aumentare le telecamere di sorveglianza, metterne di più come se bastasse una telecamera a capire quando il mostro decide di mostrarsi, sapendo perfettamente che quando decide di farlo è già troppo tardi, l’occhio della telecamera rassicura, ma ognuno sa che non basta, è un palliativo, non è la cura.
Per isolare il mostro che alligna – nonostante l’impegno di famiglie, scuole, insegnanti – forse è necessario moltiplicare luoghi di socialità e aggregazione, luoghi dove stare insieme per un fine. Oggi i paesi sono desertificati come una periferia. Molte luci del castello sono spente appena si fa sera, anche quelle dei tradizionali luoghi di ritrovo. Dove non ci sono più bar, sale da biliardo e partiti, servirebbero associazioni, circoli, teatri, scuole di musica, club culturali. Una socialità diffusa che restituisca, tra piazze e muretti, fulgore, lucentezza e significato ai valori di umanità e solidarietà. Così forse si prosciuga meglio la terra della solitudine e della disperazione taciuta. Ecco: forse l’antidoto contro ansia e paura e per contrastare il mostro del disagio, non è chiudersi dentro le mura, ma fare il contrario, tornare ad illuminare i castelli.
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