Il bando del Comune di Torrita Tiberina per alienare l’immobile di proprietà comunale ex calzaturificio è andato deserto. Presso gli uffici comunali, il 23 febbraio, ultima data per presentare le offerte, non è arrivata alcuna proposta. Il Comune però non intende demordere e riproporrà la vendita. La base d’asta questa volta era fissata a 140 mila euro, pagabili anche in 180 rate previo accensione di mutuo a garanzia. Condizioni estremamente favorevoli visto che permetteva una rata mensile inferiore ai 900 euro. Nonostante questo non vi sono state manifestazioni di interesse. La ex fabbrica di scarpe resta in attesa di futuro.

Il Comune farà nuova asta

Una parte – spiega il sindaco Rita Colafigli – è stata recuperata e locata per attività produttive. Il resto dell’immobile lo abbiamo messo all’asta. Questa volta non sono arrivate offerte, ma noi insistiamo. Per mezzo secolo quella struttura è stato il motore di questa comunità, non merita l’abbandono, ne faremo uno nuovo”.

In quello stabile gli anni d’oro di Torrita

L’immobile è un segno della buona storia di Torrita Tiberina. Gli anni d’oro. Fu costruito per realizzare un moderno calzaturificio. La proprietà era della famiglia Ricciardi che a Roma gestiva un emporio di rivendita all’ingrosso di calzature e un grande negozio nell’area centrale della città. La sua vicenda imprenditoriale ha segnato per Torrita il momento di massima crescita economica e sociale. Il calzaturificio, subito dopo la seconda guerra mondiale, era ospitato nei locali del castello baronale. Tra quella mura medievali impiegava già allora decine di operai e operaie. Si facevano scarpe di qualità che venivano vendute a prezzi abbordabili. Le buone e belle scarpe costruite dagli operai del paese calzavano i piedi della borghesia romana che dimostrava di apprezzarne la fattura a mano, solidità, qualità dei modelli. Le vendite per decenni sono andate a gonfie vele tanto da rendere necessaria una nuova più agile e attrezzata sede produttiva. E mentre a Roma e provincia sempre più cittadini camminavano nelle vie con le scarpe firmate Ricciardi, costruite pezzo per pezzo dagli operai del paese. L’azienda in quegli anni procede ad assumere uomini e donne.

Tutti facevano scarpe

Al momento di massima produzione erano cinquanta gli operai al lavoro nella struttura che oggi non trova acquirenti. Il più vecchio di loro entrò in fabbrica a 14 anni come apprendista e per 40 ha continuato a costruire scarpe e gambali. Tutta la vita. Gli operai assunti venivano anche dai paesi vicini. La Tiberina era una strada percorsa, il prodotto tirava, il via vai di materiale per produrre e delle consegne continuo. Essere assunti dal calzaturificio era considerata una fortuna perché quel contratto garantiva la “mesata”, uno stipendio fisso. In una società contadina quella fabbrica incarnava il futuro. L’ottimista Italia del boom prendeva pulsava anche a Torrita. Quella fabbrica ora vuota, era anche motivo d’orgoglio e identità, non c’erano molte altre fabbicchette nel comuni affacciati sul Tevere. Tanti campi, poche aziende, tantomeno manifatturiere di grande artigianato. E infatti quel nucleo produttivo era anche una fabbrica di sapere, mestiere, competenze.

Luogo di memoria che si vuole torni ad essere risorsa

Negli anni di maggiore produzione si può dire che tutta Torrita era una fabbrica, il regno di orlerie e tomaie. Chi usciva dalla dipendenza, come al solito soprattutto le donne quando nascevano figli, si riconvertiva allo smart worcking di allora. A cottimo facevano orlaie e tomaie per altre aziende romane. Quelle fornivano pelle e modelli, nelle case di Torrita si procedeva alle rifiniture. Il committente poi ritirava il prodotto e saldava. In altri paesi allora funzionava così la maglieria. Dalle voce di chi ci ha raccontato la storia, oggi il giovane apprendista che oggi ha 90 anni, si sentiva il calore del sole. L’idea del Comune con la vendita è semplicemente questa: far si che la struttura torni a produrre oggi come allora energia, lavoro, sapere, senso di comunità. Risorsa.

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