Vittoria ha mani bellissime, smalto alle dita, capelli perfetti, di un color bianco brillante che si intona perfettamente col luccichio dei suoi occhi. Collana, orecchini, curata come chi non ha smesso di sentirsi donna e, soprattutto, come chi è ancora se stessa nonostante il tempo che scorre, che passa, che va. Come chi ha capito che non si lotta contro il tempo e anzi, ci si lascia prendere per mano.

Vittoria Perfetti, morlupese doc, una vita in paese con la sua storica edicola in piazza Diaz, il prossimo 11 novembre compirà cento anni. Quel viso, quel sorriso che mentre parla spesso si disegna sulla sua bocca e quella luce negli occhi raccontano di lei come ne avesse la metà.

Da lei, ci accompagna Ettore Iacomussi, il sindaco di Morlupo, che più volte la guarda quasi incantato dalla sua vitalità e dai ricordi così lucidi. È bella Vittoria, ancora di più perché porta con se i giorni, le ore, i minuti di un secolo meno pochi millimetri.

La signora Vittoria insieme a Ettore Iacomussi, sindaco di Morlupo

“Non mi è mai interessato essere bella. Non ci facevo tanto caso. Mi piaceva il lavoro! Mi interessavo solo a lavorare bene”.

Cambia discorso, subito. Racconta che, oltre a vendere i giornali che anche lei amava leggere, vendeva anche le uova delle sue galline. Sempre lì, in edicola.

“Un uovo costava 10 lire! Erano meglio le lire! Ma la legge va così! Io non mi lamento!”

E poi ecco affacciarsi il ricordo di Nonna Rosa e quegli occhi sgranarsi in frammenti di felicità.

“Nonna mi ha insegnato a cucinare, rubavo con gli occhi più che altro. Li maccaroni di nonna erano conditi bene! Se magnava bene! Eravamo felici!”

Arriva il pensiero pieno di ombre della guerra, si corruccia un po’, fissa un punto lontano, quasi a mettere a fuoco le immagini di settantacinque anni fa. Passa qualche minuto, poi all’improvviso:

“Mi ricordo tutto!” A Morlupo in quei tempi c’erano i tedeschi. Io non avevo paura. C’era il coprifuoco presto ma da mangiare non mancava. Certo, non era in abbondanza, ma non facevamo la fame. Con uno dei soldati tedeschi che giravano in paese avevamo cominciato a vederci. Quando finiva le ore da militare, si metteva in borghese e veniva a trovarmi. Si chiamava Joseph, era alto, bello ma soprattutto gentile e rispettoso. Mi piaceva, forse ero pure un po’ innamorata ma non è mai successo nulla. Ero seria, sono sempre stata seria, come mi aveva insegnato nonna.”

La nipote Daniela che è lì con noi conferma tutto e sollecita Vittoria a raccontare il resto.

“Quando la guerra è finita lui è tornato in Germania, si è sposato con un’altra donna. Ma ha continuato sempre a scrivermi, da qualche parte ci sono ancora le sue lettere. Io gli rispondevo sempre, gentile ma poco espansiva. Poi un giorno è rimasto solo e mi ha chiesto di rivederci, che sarebbe venuto in Italia. Ma io ho detto no, per me era troppo tardi.”

La guerra nel cuore, di un tempo che non c’è più. E quella di oggi, a pochi passi da noi. Con i profughi ucraini nelle case e negli enti religiosi morlupesi.

“Che cosa brutta. Ma io dico chi comanda, perché non si fa avanti? Io direi loro di fermarsi. Ragazzi, si muore. Muoiono anime innocenti. Bambini. Non è giusto per loro. Le guerre non sono belle. Meglio perderle che averle. Qualche parente mio è andato in guerra. Qualcuno è tornato, qualcuno no. È una cosa davvero brutta.”

L’ultimo pensiero, prima dei saluti, è per i morlupesi.

“Scriva proprio così, ai Morlupesi voglio dire che Vittoria Perfetti vi saluta tanto tanto tanto!!! E che li aspetto a novembre, per la mia festa di compleanno!”

Resta un’ultima nota, delicata e commovente. Il sindaco era arrivato all’incontro con una pianta in omaggio per lei.  Ne era rimasta contenta, tanto. Ma mentre uscivamo ci ha richiamato.  “Una cosa… la pianta che mi avete regalato. Sindaco, può portarla a mia sorella?”

Ettore Iacomussi la guarda e con tono dolce le fa: “Ma sua sorella è morta.”

Si, ma è la persona che mi ha voluto più bene in assoluto nella mia vita. Portatela per favore, se potete, sulla sua tomba da parte mia.”

Vittoria, Morlupo, l’edicola e una storia lunga cento anni. Di quelle belle, bellissime da raccontare.

(Fotografie di Francesco Betti. Tutti i diritti sono riservati).

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