Sono molteplici gli ambiti in cui l’Italia si contraddistingue dal resto del mondo, tra questi, quello linguistico; la lingua italiana è quello straordinario scrigno secolare di bellezze che racchiude una storia unica nel suo genere: essa nasce in virtù del suo prestigio letterario, dall’alto, non dal basso. L’Italia è l’unico Paese in cui è nata prima la Cultura e poi la Nazione, il primo Paese, forse, che è riuscito a capire quanto le parole potessero emanare bellezza.
Inizialmente lingua elitaria, l’italiano, dalla sua nascita fino all’Unità d’Italia, era una lingua parlata, e soprattutto scritta, da un numero ristretto di persone e impiegata nei soli usi alti: ufficiali, formali, letterari; la maggior parte della popolazione italiana, infatti, si serviva dei vari dialetti che si erano formati in Italia in seguito al crollo dell’Impero Romano e che ancora oggi vengono utilizzati, sebbene nei soli usi informali, accanto alla lingua italiana. Fu solamente dalla fase postunitaria che la lingua italiana conobbe una progressiva crescita, iniziando a essere impiegata da tutti i ceti sociali, sia nello scritto che nel parlato, grazie a fenomeni di alfabetizzazione, urbanizzazione, obbligo scolastico e sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa: radio, tv, giornali, cinema.
E sebbene oggi molti ritengano che l’italiano antico e quello moderno siano quasi due lingue diverse, in realtà esse devono essere considerate due fasi storiche di una stessa lingua, quella stessa lingua che oggi, al contrario dei secoli passati, è in continua evoluzione. L’italiano contemporaneo, infatti, è da considerarsi una lingua in movimento, un sistema in cui talvolta escono strutture tradizionali e ne entrano di nuove, le cosiddette innovazioni, le quali possono provenire dall’esterno, basti pensare all’inarrestabile pressione della lingua inglese, ma possono provenire anche dall’interno. In questi ultimi mesi più che mai, infatti, ciò che è in primo piano sullo scenario linguistico italiano è un fenomeno interno, ovvero un progressivo cambiamento della lingua italiana verso un uso più inclusivo. Questo perché, a detta di molti, la bella lingua italiana sarebbe “sessista”. Sono molte, infatti, le questioni di genere che ultimamente investono la nostra lingua.
Ma in che modo la lingua italiana sarebbe “sessista” e quali sono i cambiamenti più significativi che renderebbero la nostra lingua più inclusiva?
Innanzitutto un problema viene posto dall’utilizzo del plurale maschile per indicare un gruppo di persone fatto sia da maschi che da femmine; ci si è iniziato a chiedere perché debba prevalere il plurale maschile per designare un gruppo misto. Per ovviare a ciò si è introdotto l’utilizzo della cosiddetta schwa /ə/ o l’utilizzo dell’asterisco (*) al posto delle vocali finali di parola in alcune espressioni quali “cari ragazzi”. Oggi, infatti, è sempre più frequente vedere nello scritto tale espressione sostituita da “carə ragazzə”, “car* ragazz*” oppure “cari ragazzi e care ragazze”, esplicitando sia il plurale maschile che quello femminile.
Altro problema è stato riscontrato dal suffisso –essa in alcune parole quali “studentessa” e soprattutto in quelle parole che designano un mestiere, una carica, un ruolo, come “avvocatessa”, “presidentessa” “poetessa”. Tale suffisso, infatti, sarebbe sessista. Non a caso, le parole sopracitate, oggi, tendono a essere sostituite da “(la) studente”, “l’avvocato” (o addirittura avvocata), “(la) presidente”, “(la) poeta”.
Ancora, si dovrebbe omettere l’articolo determinativo femminile la davanti ai cognomi di donna, così come quelli maschili: se si dovesse citare la scrittrice Alda Merini, sarebbe meglio dire semplicemente “Merini” e non “la Merini”, così come per la conduttrice Maria De Filippi: “De Filippi” e non “la De Filippi”. Vi è, inoltre, una riduzione dell’uso anche davanti a nomi di aziende, enti ecc., sia per il maschile che per il femminile (es. “l’azienda Benetton” e non “la Benetton”).
Questi esempi sono quelli che riporterebbe il movimento che potremmo definire innovativo, un movimento in favore di tali cambiamenti verso un uso più inclusivo della lingua italiana. Ma cosa ne pensa di tutto ciò il movimento che potremmo definire tradizionalista? A quest’ultimo farebbero parte, non a caso, gli studiosi della lingua, i linguisti, i quali spiegano i motivi per cui la lingua italiana non è da considerarsi sessista. I motivi sono, ovviamente, etimologici, linguistici, grammaticali, da ricondursi anche al latino: ad esempio, in italiano, il maschile è semplicemente il valore di genere non marcato, non c’è, quindi, un motivo specifico per cui si debba ricorrere al maschile: la scelta è, dunque, immotivata, sicuramente non sessista. Più precisamente, il maschile singolare è il valore di default che si rinviene nei partecipi che hanno come ausiliare “avere”; il maschile plurale, per regola, viene usato per dar conto di gruppi non definiti sul piano del genere reale.
Oggi, secondo questo movimento, si tenderebbe ad usare la schwa o l’asterisco per un politicamente corretto che sta uccidendo la nostra lingua. Per non parlare del problema del risvolto fonetico: come si dovrebbe pronunciare la schwa? E l’asterisco? Semplicemente non si può perché non si hanno equivalenti fonetici.
Sì, l’Accademia della Crusca si è espressa. E no, la lingua italiana non è sessista, perché il genere grammaticale non corrisponde al genere sessuale. È giusto, quindi, stravolgere una lingua come quella italiana, quella lingua grazie alla quale il nostro Paese è famoso in tutto il mondo, quella lingua che è stata parlata dai maggiori poeti e scrittori di sempre, per creare un linguaggio più inclusivo? Se veramente in questa bellissima lingua ci fossero intenzioni sessiste, la risposta sarebbe sì, ma la Crusca e tutti gli esperti in tale ambito, si sono espressi…
La lingua italiana è un bene inestimabile, non possiamo permetterci di perderla. Invece di stravolgerla con innovazioni interne ed esterne, occupiamoci di sconfiggere un male ben più preoccupante: la scarsa padronanza della lingua italiana da parte degli italiani stessi. Che senso ha, infatti, studiare le lingue straniere o introdurre innovazioni se molte persone, purtroppo, non padroneggiano la propria lingua? A tal proposito interessanti sono le parole di Cesare Segre, famoso filologo italiano: “se non possiedi la struttura della tua lingua non sei in grado di imparare le altre, per questo le campagne a favore dell’inglese non hanno senso se non si legano a un miglioramento dell’italiano”. E infine, citando dallo stesso Segre: “[Gli studenti] sanno poche parole, non sono capaci di costruire frasi complesse e fanno errori di ortografia gravissimi, insomma non sanno usare la lingua: riassumere, raccontare, riferire. Questo significa che non hanno il dominio della realtà, perché la lingua è il modo che abbiamo per metterci in contatto con il mondo: e se non sei capace di esprimerti non sei capace di giudicare”.