“La letteratura serve a fare interrogativi, non interrogazioni”, afferma Alessandro D’Avenia, scrittore contemporaneo, nelle primissime pagine del suo quarto libro “L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita”. E non è un caso che abbia scritto queste parole. Perché D’Avenia, oltre ad essere uno scrittore, è anche un insegnante che si batte ogni giorno per salvaguardare la letteratura, relegata troppo spesso a materia scolastica (e talvolta anche detestata dagli alunni!).
![](https://www.ilnuovomagazine.com/wp-content/uploads/2022/01/DAvenia-300x300.jpg)
Presentando la letteratura solo ed unicamente come oggetto di interrogazioni, e quindi motivo di ansia, è chiaro che, crescendo, gli studenti possano prendere le distanze da tale disciplina. Le donne e gli uomini che verranno, dunque, vedranno la letteratura come un qualcosa di noioso, difficile, incomprensibile: pensieri generati dal ricordo di un passato scolastico. Se, invece, si iniziasse a presentare la letteratura come un luogo, e quindi un qualcosa di vivo, dove potersi porre degli interrogativi (e non fare interrogazioni!), allora la letteratura avrebbe il giusto riscatto.
Bisognerebbe iniziare a guardare le cose da angolazioni diverse per poterle apprezzare ed amare. Iniziare a considerare la letteratura non più solo come materia scolastica ma come insegnamento per conoscere e per vivere. Come? Interrogandosi. Vivendo le domande che nascono mentre si legge. Perché la letteratura è uno strumento di conoscenza di sé e del mondo esterno.
Uno dei più grandi poeti di tutti i tempi, Giacomo Leopardi, in una delle sue poesie più celebri si chiede: “ed io che sono?” (“Chi sono io?”). Bene, lo scrittore porta il lettore a fare la sua stessa esperienza, in questo caso conoscersi, domandarsi chi si è. E ponendosi domande sul mondo: “a che tante facelle?” (“A che cosa servono tante stelle?”). La letteratura, in tal senso, può essere anche un arricchimento.
![](https://www.ilnuovomagazine.com/wp-content/uploads/2022/01/Giacomo-Leopardi.jpg)
Tuttavia, per far sì che ciò accada, bisognerebbe ridurre la distanza tra la letteratura e le persone, perché dietro ogni libro non c’è solamente studio, dedizione e disciplina, ma anche e soprattutto un essere umano che ha amato, gioito, sofferto, e che le proprie emozioni è riuscito a metterle su carta, a renderle leggibili. E questo essere umano, lo scrittore o la scrittrice che è al servizio della letteratura, è qualcuno che si mette a nudo e che mostra le proprie fragilità e debolezze, due caratteristiche che spesso la società di oggi tende a far reprimere, nonostante siano comuni a tutti. La letteratura come casa delle emozioni può rendere più uniti, empatici, sensibili. Senza dimenticare che la letteratura, grazie a tutte le storie reali o immaginarie che vengono narrate, può anche intrattenere!
Chi è pronto, dunque, a fare un viaggio all’interno dell’anima dei grandi della letteratura? Chi è pronto a ridere, piangere, amare, sognare attraverso poesie, romanzi e opere teatrali? Chi è pronto a vivere le domande?
Nel frattempo, vi lascio con queste meravigliose parole tratte dal libro “Lettere a un giovane poeta” di Rainer Maria Rilke, scrittore del secolo scorso.
“Abbiate pazienza verso quanto non è ancora risolto nel vostro cuore, e tentate di aver care le domande stesse come stanze serrate e libri scritti in una lingua straniera. Non cercate ora risposte che non possono venirvi date perché non le potreste vivere. E di questo si tratta, di vivere tutto. Vivete ora le domande. Forse v’insinuate così a poco a poco, senz’avvertirlo, a vivere un giorno lontano la risposta”.
![](https://www.ilnuovomagazine.com/wp-content/uploads/2022/01/Rilke-640x1024.jpg)
![](https://www.ilnuovomagazine.com/wp-content/uploads/2024/07/Locandine-Goat-2024-scaled.jpg)