La chiusura del CARA di Castelnuovo ha fatto emergere con chiarezza uno dei grandi problemi generati dal decreto Salvini: revocare dall’oggi al domani la “protezione umanitaria” a persone scappate dai loro Paesi per sfuggire a pericoli legati alla loro situazione personale, crea problemi più che soluzioni.

Come già detto, buttare intere famiglie per strada non risolve nessun problema, né genera sicurezza. Tutt’al più produce sofferenze e ansia sociale, come dimostrano le tante reazioni di normali cittadini italiani che in questi giorni hanno manifestato o protestato in vari modi.

VERSO UNA SOLUZIONE?

Ieri, con l’avvio di una “task force” per censire i nuovi esclusi generati dal Decreto e trovare risposte ai loro problemi immediati, il Comune di Castelnuovo ha finalmente preso l’iniziativa più importante (e forse l’unica possibile in questa fase) di fronte a questo evento.

Da ieri, la ASLRM4 e il Comune di Castelnuovo si sono impegnati ad installare un punto informativo di orientamento all’ingresso del Centro per valutare i bisogni delle tante persone che si ritrovano improvvisamente senza dimora e metterle in collegamento con le offerte di accoglienza (che il Comune riceve via mail).

Si tratta, come abbiamo letto sui giornali, di donne con bambini, famiglie, giovani che avevano cominciato a imparare l’italiano, andare a scuola, lavorare e che ora sarebbe auspicabile potessero continuare a farlo, possibilmente sempre nella nostra zona.

IL CARA, UN MODELLO DA SUPERARE

Ora che qualcosa di positivo si muove, possiamo anche affrontare con maggiore chiarezza il tema del CARA.

Quanti affermano che il CARA di Castelnuovo di Porto era un’“esperienza virtuosa di integrazione” dicono una cosa solo parzialmente vera. Come può essere virtuoso un Centro lontano dal centro abitato, in cui vengono ammassati, a centinaia, rifugiati e richiedenti asilo con età, nazionalità ed esigenze diverse?

Da tempo sappiamo che questa modalità di accoglienza tende ad isolare e ghettizzare più che includere, e questo non per responsabilità degli operatori, ma per obiettive difficoltà sia nella personalizzazione dei servizi ai rifugiati, che nei rapporti con la cittadinanza che deve accoglierli.

I modelli da applicare sono altri, esistono e funzionano bene. Fra tutti, i sistemi SPRAR o dell’Accoglienza diffusa, che riguardano piccoli gruppi di persone e mirano ad accompagnare le persone verso l’autonomia.

Modelli, purtroppo, che il Decreto Salvini sembra voler depotenziare, ma questo è un altro problema…

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