Quarant’anni fa, sotto i nocchieti d’ottobre, a raccolta finita, i bambini andavano, secchietto alla mano, all’”abbusco”. Raccoglievano le nocciole che erano maturate, e cadute, più tardi o quelle lasciate dalla raccolta dei grandi, per farci poi tozzetti, dolci, o semplicemente per racimolare, abbuscare appunto, quelle due tre lire per un gelato.

Oggi tutto è cambiato e il domani potrebbe essere anche peggio. Perché l’Italia, secondo produttore mondiale di nocciole con una media di 110.000 tonnellate annue su 70.000 ettari sparsi tra Lazio, Piemonte e Campania, sta cambiando pelle anche in questo settore. Protagonista è la Ferrero, il marchio che tramite la Ferrero Halzelnut Company, sua divisione interna interamente dedicata alla nocciola, ha auspicato di aumentare, entro i 2025, del 30% l’attuale superficie colturale, piantando 20.000 ettari di noccioleto, per un giro di affari di oltre un milione di euro. La zona maggiormente interessata è proprio quella del viterbese, dai Cimini fino a Civita Castellana basta farsi un giro in macchina sulla Flaminia per notare l’esplosione di piantagioni monoculturali.

La supremazia della Ferrero è una bomba ad orologeria i cui effetti si vedranno solo tra qualche anno. Di questo parere è Famiano Crucianelli, presidente del Biodistretto della Via Amerina e delle Forre, ente che riunisce 13 comuni, tra i quali Faleria e Calcata, e si occupa di agricoltura biologica. “La Ferrero è il giocatore fondamentale in questa partita cruciale per il futuro della nocciola e nessuno si interroga sulla sua strategia, sulle conseguenze per il mondo contadino, sul destino delle economie locali e sulle condizioni di vita di cittadini e territori”.

Il primo nodo della questione è quello ambientale. Le campagne, per effetto dei pesticidi, dei diserbanti e dei concimi di sintesi, stanno diventando depositi chimici nocivi per cittadini, biodiversità e falde acquifere. Per quell’acqua sempre più bene prezioso e il cui consumo idrico, a fini di irrigazione nei noccioleti, sta crescendo vertiginosamente. L’altro nodo è quello economico: la Ferrero, che controlla anche il 40% delle nocciole turche, vale a dire il 70% di quelle mondiali, sta ampliando la sua sfera di influenza anche alla Serbia e al Cile. Il risultato è scontato: maggiore produzione, minori prezzi.

E a risentirne saranno i medi e piccoli imprenditori, le 8.000 famiglie della Tuscia che secondo la Coldiretti coltivano, raccolgono e vendono le proprie nocciole. Il freno proposto dal Biodistretto è la cooperazione tra piccole aziende, la filiera corta contro la grande distribuzione, un prodotto di qualità e biologico. Da contrapporre anche alla Nutella, che poi, se ci pensate, neanche è così buona.

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