Troppo spesso la scrittura è considerata una questione elitaria, concessa a poche persone che magari hanno gli agganci giusti, nascono nel posto giusto e conoscono le persone che possono indirizzarle verso questo appassionante mestiere. Ma non è sempre così, e Valentina D’Urbano ne è la prova. Nata a Roma in un quartiere non certo dei più facili, è riuscita grazie al suo lavoro e al suo talento a pubblicare romanzi per case editrici come Longanesi e Mondadori. Il suo primo lavoro, Il rumore dei tuoi passi, ha compiuto da poco ben 10 anni.

Ma cosa deve fare una persona che vuole scrivere per lavoro? Quali sono i trucchi del mestiere e come si diventa scrittori di professione? Andiamo a vedere cosa ha da dirci a questo proposito l’autrice. 

Quando hai capito di voler fare la scrittrice?

In realtà non sapevo di voler fare la scrittrice, io volevo fare l’illustratrice per l’infanzia perché ho sempre amato disegnare. Non pensavo di fare la scrittrice, lo reputavo solo un hobby. Ho capito che mi piaceva dopo aver pubblicato il primo libro e solo dopo ho deciso di intraprendere questa strada.

Quindi è stato il tuo primo libro a spingerti a continuare?

Si, io ho scritto il mio primo romanzo quasi per gioco. Poi l’ho inviato ad un concorso che si chiama “Torneo letterario IoScrittore”, che viene ancora organizzato tutti gli anni da questo grande gruppo editoriale che è Mauri Spagnol, e l’ho vinto. Quando ho visto che mi piaceva moltissimo l’idea di pubblicare e di avere un certo riscontro da parte dei lettori, l’affetto del pubblico, ho detto: ok, mi piace, è la mia strada. Mi piace l’idea di emozionare le persone attraverso quello che scrivo. E da lì ho cominciato. 

C’è un libro, tra quelli che hai scritto, o un personaggio a cui sei particolarmente legata? 

Il personaggio sicuramente è Beatrice, che è la protagonista del mio primo romanzo e per un motivo piuttosto semplice: in qualche modo assomiglia alla persona che ero 12 o 13 anni fa, esattamente nel 2010. Avevo quel carattere lì, la stessa rabbia, la stessa sete di rivalsa, la stessa voglia di farcela. La voglia di uscire fuori da una realtà un po’ complicata. Il libro a cui sono invece più legata, inevitabilmente per una questione di tempo, è l’ultimo: “Tre gocce d’acqua”, uscito a giugno dell’anno scorso. Ci sono più legata perché il ricordo e l’affetto che provo per i personaggi, diciamo la nostalgia, è ancora molto presente dentro di me. 

Quest’ultimo libro di cosa tratta? 

È la storia di un triangolo familiare, i protagonisti sono tre “fratelli non fratelli”. C’è Pietro che è il maggiore, poi Celeste e Nadir che sono entrambi fratelli di Pietro ma tra di loro non hanno una goccia di sangue in comune. È una struttura familiare un po’ particolare, si parla di famiglie allargate e dei rapporti di affetto, amicizia e anche amore che nascono tra i personaggi. È una storia lunga 25 anni, ripercorre l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta di questi ragazzi che hanno aspirazioni, ideali e modi di vivere completamente diversi tra loro. Eppure in qualche modo riescono comunque ad essere presenti nelle reciproche vite, ad amarsi e anche odiarsi in certe occasioni.

Come nasce l’idea di una storia?

È una domanda che mi fanno spesso, alla quale non ho mai saputo rispondere in maniera chiara e definita perché io non lo so da dove vengono esattamente le mie storie. O meglio, lo so dal momento in cui si accende la scintilla dopodiché me lo dimentico. Per quello che mi riguarda, secondo me, tutte le cose che scrivo provengono da un posto molto buio e molto profondo all’interno della mia testa. Non voglio cercare la sorgente, perché ho paura che nel momento in cui cerco l’origine di queste scintille possa in qualche modo prosciugarsi. 

Cosa consiglieresti a chi vuole iniziare a scrivere?

Dipende. Scrivere per se stessi è diverso dallo scrivere per pubblicare. Nel primo caso dico semplicemente: divertitevi. Nel secondo direi comunque di partire dal divertimento, perché se non c’è quello non si può emozionare il pubblico, almeno all’inizio. E poi semplicemente scrivere ciò che ci piace e poi cercarsi una casa editrice, tenendo sempre conto che bisogna fare degli invii selezionati. Non ha senso inviare un thriller a una casa editrice che pubblica magari solo romanzi rosa. Oppure cercasi un agente letterario. Una cosa importantissima secondo me è non pubblicare mai a pagamento. Non si pubblica a pagamento. Non si paga per pubblicare, mai, in nessun caso: né con l’acquisto di copie, né con soldi, né con un contributo spese. La casa editrice è un’azienda che deve investire sullo scrittore.

 

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