I giorni che precedono il Natale sono attese di tempo. Fateci caso: sono proprio come li prevede il Calendario dell’avvento. Che conta la venuta. Ogni giorno è una sorpresa. A me ne è capitata una lo scorso giovedì, anti-anti vigilia.
Da settimane gli chiedevo di incontrarci, per parlare del senso del suo Natale. Il giorno prima mi chiama e mi dice: “Domani vado a far visita al Cimitero. Ci vado di buon mattino. Se ti va, raggiungimi nel piazzale. Seduti alla panchina parleremo di me, di noi e del senso di ciò che tu cerchi nei miei racconti. In un paese di circa trecento anime, compreso mio fratello, chi vuoi che ci disturbi. Perché, sai, per parlare bene, Italo, c’è bisogno del posto giusto…”.
Non me lo sono fatto ripetere due volte.
Don Angelo, 89 anni, prete di strada nel senso vero del termine, “pretaccio” come lo avrebbe definito il compianto Candido Cannavò, perché ha portato il “Vangelo sul marciapiede”, l’ho raggiunto lì dove mi aveva detto di andare, alle 7.30 di un mattino tiepido assai. Un mattino grigio. Con ancora poca luce e con troppo buio ancora da illuminare, carico di tanti chissà in attesa.
Perché proprio qui, fuori da un Cimitero, don Angelo? “Perché il senso di ogni Natale, del mio, del tuo, di tutti, sta proprio qua, e in posti simili, dentro queste mura. Da qui veniamo. Ce lo scordiamo tante volte e tutte le volte che ce lo ricordiamo ci fa un certo effetto. La cenere del nostro senso presente arde sempre con fastidio quando trattiamo il nostro presente. Facci caso: la sfuggiamo. Nei giorni di festa, e Natale lo è per antonomasia, la viviamo quasi come un dovere. Il dovere di esserci, nonostante tutto. Ma poi la dimentichiamo per 364 giorni. Eppure…”.
Eppure cosa, don Angelo? “…Eppure, basterebbe poco per capire la totale stoltezza di alcuni nostri atteggiamenti se solo pensassimo da dove veniamo e dove dovremmo andare a finire. Tutti: io, tu, noi. Se ci pensassimo ad ogni battito di ciglia, credimi, saremmo tutti diversi. Non so se diventeremo tutti più buoni ma sicuramente saremo tutti ben diversi: nel senso che staremo più in pace con noi stessi. E chi sta in pace con sé stesso sta in pace, pure e soprattutto, con gli altri. Sai quante volte sbattiamo le palpebre al giorno, Italo? Circa ventimila volte. Ventimila volte al giorno facciamo una cosa così importante quanto meccanica. Così vitale quanto semplice. Se non la facessimo però non vivremmo…”.
Non ci avevo mai pensato, don Angelo. E perché mi ci fai pensare solo oggi, visto che ci conosciamo fin da quando io ero bambino. Perché solo ora? “Probabilmente perché ogni cosa ha il suo tempo. E poi perché vedo che il mondo va a rotoli. Non c’è più logica in nulla. Ho la sensazione che nemmeno più ce lo chiediamo da dove veniamo al mondo. E se non te lo chiedi non vivi bene. Se non ti soffermi a pensare che ogni battito di palpebra ha un senso significa che non ti chiedi tante cose…”.
Qual è il senso del tuo Natale, allora, don Angelo. Quale il senso del tuo batter di ciglia? “Riempire il vuoto. Vuoto fisico, etico, morale. Un prete come il sottoscritto, don Albino Bizzotto, dice sempre “il Vangelo è combattimento, sfida agli stereotipi, ai luoghi comuni, alle convenzioni” e sai perché lo dice? Lo dice perché il vuoto lui cercava di riempirlo con i fatti, che sono conseguenti alle parole. Lui, il fondatore dei “Costruttori di pace” lo dice per la Pace. Io lo chiamo “altruismo intelligente”, non passivo. Quello che spinge a riflettere per agire il cambiamento. Riempire il vuoto, quindi, è il senso del mio Natale, vale a dire stare sempre al fianco del più fragile, del meno robusto, del più debole, del meno forte. Ogni vuoto lo rimpiazzi così, tutti i giorni, facendo questo, anche quando tutto sembra andarti per il verso storto”.
Tu, però, don Angelo, sei sempre stato attratto dalla vita difficile? “Chi non lo fa è perché guarda altrove, distoglie lo sguardo. Ho studiato al seminario e ho lavorato in tante piccole parrocchie non per vanagloria o per celebrare il Signore solo a parole… no, ma l’ho fatto per riempire il mio senso di vuoto, il senso del mio continuo Natale. La mia storia è molto semplice, e tu ne sai qualcosa, ma proprio perché semplice ha la forza della vita. Le baraccopoli, gli uomini e le donne sotto i ponti, i migranti… il mio Natale era essenzialmente questo. L’ho fatto per sessant’anni. Fino a che ho potuto”.
Lo so, lo so, don Angelo, lo so bene.
Sai, Italo, cosa diceva Don Lorenzo Milani nelle sue “Esperienze Pastorali”? Diceva: “C’è una legge che gli uomini non hanno forse ancora ben scritta nei loro codici, ma che è scritta nel loro cuore. Una gran parte dell’umanità la chiama legge di Dio, l’altra parte la chiama legge della Coscienza. Quelli che non credono né all’una né all’altra non sono che un’infima minoranza malata. Sono i cultori dell’obbedienza cieca. Ecco, sta qui, in questo il mio Natale: nella ricerca della legge della Coscienza e di Dio. Avere coscienza è capire il senso di noi stessi. Poi, Dio, vien da sé..”.
A questo, forse e senza forse, serve il Natale: ad avere Coscienza. Consapevolezza e conoscenza. Da che mondo è mondo è così. Buon Natale!

P.S. Questa Itaca è un omaggio. Ad un prete, con una storia umile ma grande così, e che ora, anche nel suo ambiente, ha scelto il silenzio della quiete.

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