Tre mole, tre torrenti e tre monti: siamo a Castelnuovo di Porto, lungo la via di Pian Braccone. Da qui parte la storia di un’acqua prorompente che, nel corso dei secoli, ha percorso terreni e consentito l’esistenza di molte generazioni.

È un’acqua che leviga le pietre e accarezza la terra, quella che scorre in questo piccolo mondo racchiuso tra le colline del parco di Veio; ma è anche un’acqua che produce energia: anno dopo anno, ha permesso il lavoro dei campi e la crescita della comunità castelnuovese, contribuendo a farla diventare quella che è oggi.

Tenendo alto lo sguardo, si possono ammirare monte Calvio, monte di Sant’Antonino e Belmonte, suggestivo altopiano su cui sorgeva una fiorente popolazione etrusca.

È la terra di origine vulcanica che però attira gli occhi di chi cerca bellezza, con le sue acque sorgive e i tre torrenti che scorrono placidi: il fosso di sant’Antonino, quello dell’Ogliaralo e il fosso dell’acqua Forte.

Luigi Perini, appassionato di sentieri e di archeologia, ci ha accompagnati in un viaggio nella natura e nel tempo, portandoci alla scoperta di tre antiche mole: la mola di sopra, la mola di mezzo e la mola Paradisi.

Superare il parco di monte Mariello e addentrarsi fra i rovi fino alla prima mola, significa abbandonare la fretta quotidiana lungo la via Flaminia e mettersi in gioco per provare nuove emozioni.

Il verde è rigoglioso, le rocce parlano una lingua antica e i sentieri aperti da Luigi sussurrano storie di echi lontani.

Sono echi che portano all’acqua, che è lì, al centro di tutto. Si sente scrosciare tra le foglie e le spine.

Aspetta tra i sassi ricoperti di muschio e chiede di essere vista.

Talvolta si muove con forza, si trasforma in cascata e scende a ridosso delle mole, un tempo usate per macinare il grano.

Cibo, economia, sussistenza: ecco cosa rappresentavano queste strutture, una delle quali era ancora in funzione negli anni ‘50 del secolo scorso.

Il meccanismo era abbastanza semplice: due macine in pietra, sovrapposte, si sfregavano al fine di trasformare il grano in farina. All’epoca, però, il lavoro dell’uomo esigeva l’aiuto della natura e coloro che costruivano le mole lo sapevano bene: era l’acqua a compiere la magia, muovendo le eliche attaccate al palo che permetteva alla ruota in pietra di girare.

Ingresso della mola e macina in pietra

Grandi serbatoi erano posizionati in alto; al loro interno, grazie a un sistema di cunicoli e di chiuse, confluiva l’acqua sufficiente a garantire ore di lavoro e la spinta necessaria per svolgerlo.

Proprio così si viveva e si mangiava, perché non esisteva vita senza acqua: scorreva in percorsi sotterranei e sbucava nei campi per irrigare le coltivazioni; laddove serviva, si trovava una vena nel terreno e ci si costruiva intorno un fontanile.

Il passaggio dell’uomo è ancora visibile, in questo pezzo di territorio che era innanzitutto fonte di sussistenza per chi lo abitava.

Odore sulfureo, sapore di ferro, ricchezza di magnesio: Castelnuovo di Porto aveva tutto ciò che una terra di origine vulcanica può offrire.

E ce l’ha ancora oggi, a pochi passi dalla via Flaminia. Nascosto agli occhi frettolosi di chi si è dimenticato dell’acqua.

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