A ornare le cappelle della cripta di Santa Maria della Concezione sono le ossa di più di circa quattromila frati cappuccini: tibie, teschi, costole e femori percorrono le pareti di questo luogo unico nel suo genere, disegnando elaborate composizioni artistiche a imitazione di pitture decorative in stile rococò.

La chiesa, situata in Via Veneto a Roma e risalente al 1626, fu progettata da Michele da Bergamo su ordine del fratello di Papa Urbano VIII, Antonio Barberini, membro dei cappuccini. Le sue spoglie sono tutt’ora conservate all’interno della chiesa, che ospita anche la tomba del primo santo dell’ordine, San Felice Da Cantalice. Santa Maria della Concezione vanta inoltre la speciale presenza di dipinti di alcune maestranze del barocco: il San Michele Arcangelo di Guido Reni, la Natività di Giovanni Lanfranco e il San Francesco d’Assisi sorretto dall’Angelo dopo le stimmate del Domenichino.

Il San Francesco di Caravaggio, invece, è conservato nell’adiacente Museo dei Cappuccini, aperto nel 2012. Al suo interno viene raccontata la storia dell’ordine, che si separò dai francescani per perseguire con più tenacia i valori originali di caparbietà, umiltà e solitudine del santo. Fanno parte del ricco allestimento opere d’arte, tracce di fonti storiche, ritratti dei personaggi di spicco che hanno indossato le vesti dell’ordine, e oggetti di rito e di uso comune nella vita dei monaci.

È al termine di questo percorso espositivo che possiamo finalmente entrare nella cripta, costituita da 6 piccole cappelle. Gran parte di esse sono state soprannominate in base alla tipologia di ossa che maggiormente compare al suo interno: troviamo così la cappella dei bacini, quella dei teschi e quella delle tibie. Ogni esemplare di ossa è infatti organizzato per tipologia, le sue caratteristiche estetiche sfruttate consapevolmente nello spazio, come le costole, sottili e ricurve, che vanno a comporre forme tondeggianti e parti di cornici; i teschi, rotondi e compatti, formano invece pile verticali disposte simmetricamente come colonne portanti. Nonostante l’estrema peculiarità della materia prima utilizzata, le decorazioni presentano la raffinatezza degli affreschi di un prestigioso palazzo del ‘600.

Le ossa non sono state disposte unicamente per fini decorativi, ma raffigurano in ogni cappella scene di carattere religioso (come la parabola della resurrezione di Lazzaro) e fanno parte di un sistema iconografico ben preciso, che induce a riflettere sulla sconfitta della vita terrena e il trionfo della morte sui vivi. Il piccolo scheletro che, al centro del soffitto di una delle cappelle, regge una falce e una bilancia, entrambi simboli che lo identificano come il tristo mietitore, non sono altro che i resti della piccola principessa Barberini.

Il motivo della bizzarra decisione estetica di impiegare le ossa dei defunti per le decorazioni della cripta rimane un mistero, il che ha portato alla nascita di numerose interpretazioni. Queste ruotano intorno all’ossessione per il tema tipicamente seicentesco della vanitas, la vanità delle cose terrene, con i suoi teschi e clessidre che indicano la futilità del tempo presente, ricordano che tutto è destinato ad una sola e medesima fine.

Ciò che è sicuro è che nella cripta dei cappuccini possiamo osservare un’idea della morte lontanissima da come la viviamo noi ora, appartenente ad un’epoca lontana, quando ancora la sua presenza incombeva e viveva mescolata alle abitudini e alle persone. Allora la morte non era altro che una meta importante del viaggio eterno dell’anima, un monito a tenere in considerazione la futilità delle cose terrene.

Non possiamo comprendere appieno questa concezione, se nella nostra società la morte viene ampiamente censurata dalle nostre esperienze di vita. Quello che più sconvolge oggi nel visitare la cripta è forse proprio questo contatto diretto, che a noi manca del tutto, e immaginare gli artisti che nei secoli passati hanno dissezionato con disinvoltura gli scheletri di migliaia di persone, hanno toccato e separato e riorganizzato le loro ossa, come altro non fossero che semplice materia. Perché così ai tempi il corpo veniva considerato: un contenitore dell’anima, senza la quale diventa un involucro vuoto. Come attesta l’iscrizione della tomba di Antonio Barberini, scelta da lui stesso: “qui giace polvere, cenere e null’altro”, che ricalca il biblico “perché polvere sei, e polvere ritornerai.

Convento dei Frati Cappuccini
Via Vittorio Veneto, 27 – 00187 Roma

orari apertura:
lunedì-sabato 7-13.00 – 15.00 – 18.00;
domenica e festivi: 9.30-12.00 – nel pomeriggio 15.30-18.00 a seconda della disponibilità.

 

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