La musica è pericolosa”, recita così il titolo dello spettacolo di Nicola Piovani, andato in scena venerdì sera al Teatro nelle Cave di Riano. È una frase di Federico Fellini, uno dei tanti registi con cui aveva lavorato il compositore insieme a Nanni Moretti, Giuseppe Tornatore, Marco Bellocchio, Mario Monicelli. La musica lo spaventava perché “non ha concetti, non racconta nulla di preciso, eppure mi emoziona dal profondo”.

E di emozioni il concerto di venerdì è stato portatore sano e le nascondeva nelle note, nelle melodie sax e clarinetto di Marina Cesari, nelle corde di Pasquale Filastò, nelle percussioni di Ivan Gambini e nelle tastiere di Sergio Colicchio. Si nascondeva soprattutto nelle mani e nelle parole di Nicola Piovani, che arricchiva i suoi brani di aneddoti, racconti, vicende personali che diventano storia della musica. Come quelli che accompagnano il motivo di “Storia di un impiegato”, il concept album di Fabrizio De André del 1973, prodotto da Roberto Dané e con le musiche proprio di Faber e di Piovani. “Quando lavoravo alla Rai, negli studi di Via Asiago – racconta – conoscevo bene i censori e il modo in cui lavoravano. Quando una canzone, un brano, andava censurato, si prendeva il coltello e si tagliava la pellicola, per non correre rischi. Gli album di Fabrizio erano tutti un taglio”. Tra le canzoni più osteggiate c’era quella de “Il bombarolo”, “spacciata come una canzone ribelle, ma che parla invece della triste fine di uno sfortunato”.

Il motivo iniziale del brano, che si ripete anche nel ritornello, è scritto proprio dal Maestro romano e mette le radici nella sua infanzia, “perché nel bambino la memoria musicale è più forte di tutte”. Nato nel quartiere Trionfale, il Piovani bambino passa le sue giornate in Via Sebastiano Veniero, una traversa di Città del Vaticano. Quelle giornate sono scandite da un suono particolare: quello delle campane del convento delle monache di Ivrea. “Era una sequenza semplice, di appena tre note: fa – mi – sol, ripetuta dalle suore in maniera casuale”. Le stesse tre note riaffiorano trent’anni dopo, quando Piovani deve scrivere le musiche per De André. “E chissà se quelle suore sapevano che stavano contribuendo, con le loro campane, a scrivere una canzone anarchica, sovversiva, bolscevica”.

Foto di Danilo e Valerio Rossi

È uno dei rischi, anzi dei pericoli, bellissimi, della musica: quello di trovare infinite combinazioni, di prendere infinite strade, di passare dalle campane di un convento a un album anarchico, di rimbombare in un teatro greco di duemila anni fa e in una cava dismessa. La musica è pericolosa e a Riano lo è un po’ di più, perché lo spettatore (il concerto di venerdì era completamente sold out) può perdersi a guardare le alte pareti di tufo, solcate da splendidi giochi di luce, di rosso, di blu, di verde. E mentre qualcuno dentro le cave vorrebbe farci discariche e metterci i rifiuti, a Riano risuonano le note della “Vita è bella”. Scegliere da che parte stare non è mai stato così facile.

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