La scena del film “Il ritorno di Don Camillo” del 1953, del regista Julien Duvivier, in cui Don Camillo, interpretato da Fernandel, tenta di sgridare Berto, recitato da Roberto Loreti, figlio di Peppone, impersonato da Gino Cervi, fu girata al km 11 della strada provinciale 15A, la più familiare Tiberina, ricadente nel comune di Riano. Più precisamente al ponticello della stradina che, per chi viene da Roma, in quel Km, si trova a destra e conduce nella vallata posta tra la stessa Tiberina e l’Autostrada del Sole, che porta tra l’altro all’odierna sede del “Riano Athletic Center”.
Tiberina, Km 11. Esterno giorno. Ciak si gira…
«Siediti qua, ti devo parlare» dice nella scena Don Camillo a Berto, invitandolo sul muretto che al tempo costeggiava il tratto suddetto della strada, dopo averlo prelevato al filmico collegio di Fiano Romano. Lui lo interrompe, chiedendogli: «Posso fare una corsa?». Don Camillo nel rispondergli tenta di farlo desistere: «Ma non hai tempo di correre quando fai la ricreazione?». E il piccolo, con voce tenera: «Ma non c’è posto in collegio!”. Al che, il prete si intenerisce e cede: «E vabbè, fai la tua corsa e poi torna che ti devo parlare». Da quel momento Berto corre, contento e felice, finalmente all’aria aperta, nei prati attorno, alla ricerca di lombrichi, salendo su un albero per prendere un nido di vermi, giocando in una pozzanghera d’acqua e tirando sassi in un piccolo stagno. Il regista ha modo di soffermarsi così sul verde della vallata.
Il film, di produzione italo-francese, in bianco e nero, dalla durata di 116 minuti, liberamente tratto dai racconti del volume “Mondo piccolo” (1948) di Giovanni Guareschi ˗ prodotto dalla Cineriz, distribuito dalla Dear Film, con musiche di Alessandro Cicognini, scenografia di Virgilio Marchi e fotografia di Anchise Brizzi ˗ vide impegnata la troupe dal 1º dicembre 1952 al 28 febbraio 1953.
La pellicola fu girata a Cinecittà, Brescello (RE), Rocca di Cambio (AQ), Fiano Romano, Roma (Piazza dei Campitelli), Sassa-Tornimparte (AQ) e Montopoli in Sabina (RI).
Il film, proiettato per la prima volta in Italia il 23 settembre 1953, fece registrare il secondo miglior incasso dell’anno, dopo “Pane, amore e fantasia” di Luigi Comencini, e annovera nel cast gli attori Paolo Stoppa, Leda Gloria, Saro Urzì, Edouard Delmont, Arturo Bragaglia, Marco Tulli, Miranda Campa, Enzo Staiola, Lia Di Leo, Alexandre Rignault, Thomy Bourdelle, Charles Vissiere, Claudy Chapeland e Tony Jacquot. Voce narrante, baritonale e pastosa, dell’attore e doppiatore Emilio Cigoli.
La pellicola riparte dal finale della precedente (“Don Camillo”, del 1952), in cui il parroco viene mandato per punizione in esilio dal vescovo in una desolata chiesetta di un perduto paese di montagna. Dopo la sua partenza, Peppone, il Sindaco, il suo acerrimo avversario, invece di bearsi della cosa, fa di tutto per riportarlo a casa, con il voler del popolo: gli serve il suo aiuto per lottare contro un grande proprietario terriero, Cagnola: in previsione di un’imminente alluvione non vuole consegnare i suoi terreni per edificare alcune dighe. Li vediamo, perciò, fianco a fianco, nonostante i dissapori ideologici, collaborare assieme per aiutare la popolazione colpita dall’esondazione del fiume Po, a testimonianza del loro comune sentimento di amore verso la comunità.
In chiaro scuro le recensioni dei critici di quell’anno. Una su tutte quella di F. Zannino, in “Rassegna del film”, rivista mensile di cultura cinematografica, che sul numero di ottobre del 1953, scrive: “Questo film non pone grossi problemi e non deve porli. Tutto qui è mite e svaporato, gentile e invitante: i contrasti sono a fior di pelle, appena sorgono si sa che saranno risolti. Si finisce con la tragedia dell’inondazione e non riesce difficile con questo argomento commuovere qualsiasi pubblico.”
Roberto Loreti, che nella scena girata nel territorio di Riano, ricopre il ruolo di figlio di Peppone, oggi ha 77 anni e negli anni Sessanta ha avuto un’importante carriera come cantante in Italia e all’estero, ed in modo particolare nei paesi della ex Unione Sovietica, con il nome di Robertino. Ha cantato tra l’altro “Un bacio piccolissimo”, testo di Vito Pallavicini e musica di Gino Mescoli, arrivata in finale al Festival di Sanremo del 1964 e diventata in breve tempo uno dei singoli più venduti dell’anno. In tanti lo ricordano anche per la canzone “Un dollaro d’amore”.
In un’intervista al “Corriere della Sera” del maggio 2022 Robertino così ricorda la sua partecipazione al film: «Un giorno per strada, sarà stato il 1953, mi ferma un tizio di Cinecittà, lo chiamavano Camomilla, cercava comparse. Ero caruccio, con due occhi scuri che parlavano. “A’ regazzì, ndo vai? Hai voglia di fare un film? Ti vanno bene 30 mila lire al giorno per dieci giorni?” Come no, di corsa. Così ho avuto una particina in “Anna” con Silvana Mangano ed ero il figlio piccolo di Peppone-Gino Cervi ne “Il ritorno di don Camillo”, ho ancora la foto di me in braccio a Fernandel».
Due curiosità: nel 1953 “Don Camillo” uscì negli Stati Uniti e pare fosse in corsa per l’Oscar, ma la Cia riuscì a farlo escludere dalle nomination perché «troppo di sinistra»; Giovanni Guareschi nel 1965 sfiorò anche il Nobel per la letteratura.
La conformazione del territorio, quella morfologica e il paesaggio stesso oggigiorno rispetto alla scena registrata da Julien Duvivier nel 1953 sono molto cambiati. L’Autostrada del Sole, all’epoca, nemmeno esisteva. È arrivata undici anni dopo. Come non esisteva l’alta densità urbana attualmente presente. Individuare la zona è stato possibile con l’aiuto di alcune persone del posto, che conoscono l’evoluzione della Sp 15a, e tra il confronto delle foto di scena con alcune foto recenti dell’area. Ad esempio nella prima foto di scena a corredo di questo mio articolo è possibile notare alle spalle di Fernandel e di Robertino le due torri e il manufatto che ancora oggi sono ben visibili dalla Tiberina e che si trovano sotto la frazione “Belvedere di Riano” (e che il fotografo Danilo Rossi ha ripreso in un particolare).
Per noi che viviamo in quest’area, d’ora in avanti, a notizia registrata, percorrendo la Tiberina in quel tratto, capiterà di riandare con la mente a quell’anno di cinema in cui il mitico Fernandel, in arte Don Camillo, insieme a Robertino, l’hanno perlustrata, e vi si sono soffermati pure, seppur per un breve lasso di tempo. Alla fine resterà il ricordo di un momento. Poco più di due minuti di riprese che, tra il minuto 63 e il minuto 66, probabilmente nel mese di gennaio del 1953, hanno immortalato, nel territorio di Riano, il nostro attimo di cult di Don Camillo. L’attimo di un film diventato al contempo racconto e favola. Che sono propri di chi osserva la realtà guardandola pure su pellicola. E magari, chissà, proiettandola nel passato. Il passato che tutto può. Per fato e per memoria.