“Avercela oggi una foto di quel momento con Sean Connery…” mi dice l’amico Massimiliano Venditti, titolare del ristorante “Il Grottino” di Via Pian dell’Olmo, a Riano, a proposito delle mattinate in cui, quarant’anni fa il prossimo anno, gran parte del cast del film “Il nome della rosa”, compreso il regista, nei giorni delle riprese, venivano a far colazione da noi”. Cosa ricordi? “Avevo 15 anni, ricordo mia madre che entusiasta preparava le colazioni, il mio compianto zio che accendeva la griglia, il cameriere Mustafà che serviva ai tavoli e poi la sala trasformata in camerino, in cui gli attori si vestivano per le scene. Ricordo l’emozione, percepivamo che quel film sarebbe diventato un cult…”.
Ha ragione Massimiliano. Il film, al pari del libro di Umberto Eco da cui è tratto liberamente e che è stato un best seller ˗ tradotto in 47 lingue con oltre 50 milioni di copie vendute al mondo, premio Strega 1981 ˗ è tra i film più visti della storia. In Italia il primo film per incassi della stagione 1986-87 e a lungo la pellicola più vista in tv: trasmesso su Rai1 il 5 dicembre del 1988 ottenne 14.672.000 telespettatori.
L’abbazia dove si svolge la storia principale del film di Jean-Jacques Annaud è stata ospitata a Riano, sulla collina di Pian dell’Olmo, al km 7.5 della Via Tiberina. Fu costruita riproducendo l’abbazia della Sacra di San Michele in Piemonte. E sempre Pian dell’Olmo ospitò pure l’imponente torre ottagonale della biblioteca, ricostruita da Ferretti ispirandosi a Castel del Monte in Puglia. Ora, sulla collina c’è solo un rudere di epoca medioevale coperto da alti e folti arbusti.
Dopo lunga ricerca ho scovato due foto tratte dal forum de “Il Davinotti” che testimoniano, fonti alla mano, tale fatto, culturalmente rilevante per il territorio di Riano.
(Foto rintracciabile al seguente link: https://www.davinotti.com/forum/location-segnalazioni/il-nome-della-rosa/80002410/pagina/1).
Scorrendo nella pagina che si apre vi imbatterete in queste due immagini poste in apertura dell’articolo, probabilmente originariamente pubblicate da una rivista cartacea del periodo, in cui: nella prima, è ritratta la collina di Pian dell’Olmo durante i lavori di costruzione dell’abbazia (il particolare dei resti della torretta medievale esistente ancora oggi, seppur ridotta male dall’arsura del tempo, che si staglia sullo sfondo è inconfondibile); nella seconda, invece, è raffigurata la collina a lavori di costruzione dell’abbazia ultimati.
Nonostante gran parte dei giornali e delle riviste del settore continuino ancora a confondere o a omettere o a scambiare grossolanamente un luogo con un altro, c’è da dire che fu lo stesso Umberto Eco, in un articolo su ‘l’Espresso’ del 2 maggio 2011, a rivelare la cosa. A ribadirlo ci pensò pubblicamente il premio Oscar, scenografo e costumista del film, Dante Ferretti, il 12 dicembre del 2012, in occasione della laurea ad honorem in Architettura, conferitagli dall’Università La Sapienza di Roma. Riconfermando il tutto, poco tempo dopo, in un’intervista rilasciata a ‘Rai Storia’, il cui video è facilmente rintracciabile in rete. Nel filmato racconta di quanto, appena uscito il film, gli telefonò un’agenzia turistica “per sapere in quale abbazia era stato girato”. La risposta fu: “… è a pochi chilometri da Prima Porta, in via Tiberina, ma sbrigatevi! La smontano domani!”. In un’altra intervista sul quotidiano “Avvenire” del 23 settembre 2013 ci tornò su, dicendo che l’abbazia era stata costruita nei pressi di “una cava di tufo sulla Tiberina, ingannando anche qualche storico”.
A conferma ulteriore del luogo c’è anche la testimonianza dell’attore, allora esordiente, Franco Pistoni, che in un post sul suo profilo facebook, del primo ottobre 2020, rispondendo al commento di un lettore, scrive ˗ pubblicando anche alcune foto scattate sul set di Pian dell’Olmo ˗ che le scene esterne all’abbazia furono girate sulla Tiberina: “Inizialmente il film doveva essere ambientato nella piemontese Sacra di San Michele (l’abbazia valsusina ispiratrice di Eco per il suo romanzo), poi questa scelta venne reputata troppo dispendiosa dai produttori”.
A riscontro di tutto ciò c’è anche un articolo de “l’Unità”, datato 17 ottobre 1986, a firma di Maria Serena Palieri, in cui (nella foto che pubblichiamo si evidenzia il passaggio in giallo) si afferma che le riprese del film, allora in corso, si stavano svolgendo sulla Tiberina.
Il set di Pian dell’Olmo, oltre tre ettari, è stato il più grande “esterno” costruito in Europa dai tempi del film “Cleopatra” del 1963, interpretato da Elizabeth Taylor, Richard Burton e Rex Harrison. Set che nella scena finale del film brucia in un incendio.
L’abbazia, composta da una serie di edifici posti l’uno accanto all’altro, in cui si svolgevano varie attività, tanto da permettere ai “monaci” di vivere in autonomia in un luogo così isolato, prevedeva, oltre al chiostro e al grande porticato, anche la chiesa.
All’opera, tra gli altri, nel film c’erano il sarto Umberto Tirelli, il direttore della fotografia Tonino Delli Colli, la costumista Gabriella Pescucci e la scenografa Francesca Lo Schiavo.
Girato in sedici settimane, tra l’11 novembre 1985 e il 10 marzo 1986, con un budget di 17 milioni e mezzo di dollari, le scene registrate a Pian dell’Olmo si impreziosirono anche di neve vera, regalia accolta dalla produzione come una vera e propria manna. Tra l’11 e il 12 febbraio del 1986, infatti, si registrò su Roma e provincia, un’eccezionale precipitazione nevosa, che contribuì a dare maggiore, e più naturale, autenticità all’ambientazione di tutta la scenografia.
“Annaud ˗ ha raccontato un certo Oscar il 26 marzo 2019, in un’intervista ad “Affari Italiani”, mantenendo l’anonimato e autodefinendosi ‘una delle penultime ruote del carro del film’ ˗ voleva un’abbazia scura, con l’umidità sui muri, sporcata dal tempo… la scena iniziale dell’arrivo all’abbazia rischiava di saltare: era finita la neve finta e il budget per i cannoni che creano una coltre artificiale era esaurito. Nevicò su Roma e dopo ventiquattro ore avevamo l’effetto a macchia di leopardo che servi-va e la giusta luce”.
“Il luogo dove si gira il film ˗ scrive Francesco Longo su “Rivista Studio” il 20 maggio 2020 ˗ diventa meta di pellegrinaggi, arrivano giornalisti, auto blu. Il set è una macchina del tempo, ogni dettaglio passa al vaglio di sette storici coordinati da Jacques Le Goff, c’è un consulente anche per il comportamento monastico. Artigiani lavorano per settimane a ricostruire fedelmente stoviglie di terracotta, vasellame, miniature, lampade e arredi destinati all’abbazia. Sembra di assistere alla costruzione di una cattedrale più che a un film”.
Nel film Sean Connery è Guglielmo da Baskerville. F. Murray Abraham è Bernardo Gui, Fëdor Fëdorovič Šaljapi è Jorge da Burgos, Ron Perlman è Salvatore, Christian Slater è Adso da Melk e Valentina Vargas è la fanciulla.
In un’intervista a “la Repubblica” del 29 gennaio 1986, l’organizzatore del set, Gèrard Morin, fornisce le cifre che danno idea della grandiosità del progetto voluto da Annaud: “Una troupe tecnica di 85 persone; sul set, ogni giorno, 200-220 tra attori e operai; la difficoltà di creare una costruzione così alta che reggesse, nel tempo della lavorazione del film, alle intemperie, su un terreno nel quale non si può andare oltre i 10-20 centimetri di profondità, dato il tufo che c’è subito sotto. E poi il terreno in discesa, la necessità di fare canalizzazioni per far scorrere l’acqua piovana, e il fango conseguente, nel quale ci muoviamo tutti, tutti i giorni”.
Nei ricordi di Massimiliano Venditti riappare anche Franco Cristaldi, sceneggiatore e produttore impareggiabile, che per questo film, nel 1987, ricevette pure il premio come miglior produzione al David di Donatello.
“Pensa, Italo ˗ mi confida Massimiliano ˗ che Cristaldi, insieme alla moglie Zeudi Araya, anche dopo il film, è spesso venuto a mangiare da noi. E non è stato l’unico, dal momento che di recente, per esempio, è venuto a pranzo da noi Marco Sperduti”, che è stato il responsabile della messa a fuoco (oggi detto ‘focus puller’) della pellicola.
“Il nome della Rosa” ha anche aiutato, tra il 2011 e il 2012, la lotta dei cittadini rianesi e dei paesi limitrofi contro l’installazione della discarica dei rifiuti alternativa a Malagrotta, ad aggiuntiva controprova della storicità e, della conseguente, inidoneità del sito che certuni volevano trasformare in mondezzaio. Lo attestano pure i comunicati stampa divulgati durante quella mobilitazione.
“Pensare di aver avuto anche Sean Connery nostro simbolico alleato in quella lotta ˗ sottolinea Massimiliano Venditti ˗ è la dimostrazione di quanto mitica sia la storia di questi nostri luoghi”. A doppia dimostrazione, aggiungo io, di un’inossidabile verità: l’arte produce il bello. Di continuo. Senza sosta. Come in questo caso.