È proprio vero: Itaca è un viaggio che si fa attraversando vite. Tante vite. In lacrime e in sorrisi. Nel bene o nel male. In pace o in guerra. Ogni Itaca è storia che narra esistenza. Esistenza presente e in divenire…

Per cui, e ‘purtroppo’ aggiungo io, c’è la guerra, che genera esistenza di morte! Presente e in divenire, anche questa. E ne provoca a getto continuo. Perché instancabile è l’atrocità che la sottende: rovinare umanità, radere al suolo realtà, abbattere dignità, umiliare speranze e creare caos.

All’alba del ventesimo giorno di guerra in Ucraina, il diario delle bruttezze fa registrare (e inorridire) la morte della donna incinta la cui immagine, sette giorni fa, è entrata nelle case di tutti quanti noi, sempre più attoniti, mentre veniva evacuata su una barella dall’ospedale pediatrico di Mariupol, bombardato dai russi.

Un’immagine in carne ed ossa. Un’immagine che di vite ne racchiudeva due. Un’immagine che non era idea ma forma di carnalità.

Quella donna, che nei momenti concitati dei soccorsi successivi al maledetto cannoneggiamento di quel nosocomio, era stata vista da tutto il mondo essere portata via d’urgenza da quel posto maciullato a sangue, distesa su una lettiga, mentre si teneva con le mani il grembo insanguinato, aveva il bacino schiacciato. Troppo schiacciato per essere salvata.

Quella donna, per noi senza nome, è morta di bacino schiacciato! Quella donna e il suo bambino… nel ventre, schiacciato.

Dai colleghi giornalisti che seguono la guerra sul campo (che siano benedetti!) si è saputo che i medici, prima di tutto, prima di salvare la donna, hanno anche provato a farlo nascere quel bambino. Almeno il bambino!

“…Ma non mostrava segni di vita” ha spiegato ai giornalisti il chirurgo Timur Marin. Segni di vita, appunto.  Quelli che in Ucraina si stanno affievolendo giorno dopo giorno.

Quelli che, per colpa di questa terribile guerra, quando ci sono vengono pure orribilmente schiacciati… in nome dell’odio. Che non produce nulla. Se non altro odio… e altri segni di vita assassinati.

P.S. La propaganda russa aveva sostenuto che l’ospedale di Mariupol di cui sopra non funzionasse più da tempo come struttura sanitaria ma che fosse in realtà utilizzato come base da combattenti ucraini. Per la propaganda russa, insomma, le immagini di quella ragazza erano parte di una “messinscena mediatica”

Sponsor