Roberto Mattioni, Mariarita Laugeni e Laura Ammanato durante la presentazione di Fiore de nocchie a Faleria

Un patrimonio prezioso, che si trasmette di bocca in bocca, di generazione in generazione. Un patrimonio che non è fatto di cose solide, fisiche, concrete, un patrimonio immateriale. E per questo ancora più vulnerabile e unico, come tutti quei saperi, quegli usi e costumi che nascono nella notte dei tempi e arrivano fino ai giorni nostri. “Fiore de Nocchie – Stornelli e canti popolari nella memoria femminile dell’area cimina” parla di questo.

Presentato lo scorso sabato, a Faleria, all’interno della programmazione per le festività di San Giuliano Ospitaliere, è il frutto del lavoro della musicologa Laura Ammanato, che ha registrato, raccolto e trascritto più di 140 stornelli, cantati nell’area compresa tra Carbognano e Canepina, Vallerano, Vignanello e Vasanello. Il cuore della Tuscia, il regno della nocciola. E di questo si è parlato durante la presentazione: di agricoltura e di musica, di usi e costumi e di economia.

Il libro “Fiore de nocchie”, edito da Hermes.

È un tuffo nel passato, innanzitutto, di quando una zona contadina iniziava ad affacciarsi alla vita urbana, agli impieghi nelle grandi città. Un fenomeno in atto soprattutto nel primo dopoguerra e negli anni Trenta, quando sempre più persone, uomini soprattutto, venivano attratti dalle possibilità lavorative della capitale oppure, restando in ambito agricolo, migravano nella stagione della mietitura verso la Maremma. A casa e nei campi di famiglia restavano, allora, le donne. Ed è su loro che Laura Ammanato si concentra, facendole baluardo di un sapere antico, scandito dai ritmi delle stagioni e della raccolta.

Non erano i tempi delle semoventi o dei trattori: le nocciole si raccoglievano ancora a mano, piegati a terra, in ginocchio, alcune volte direttamente dalla pianta, ancora verdi. “Fiore de nocchie | quanto so’ strapazzate ‘ste ragazze | ‘a mattina a bonora ‘a sera a notte”. Rime e melodie che servivano per rendere più gioiosa la fatica, per far passare il tempo, ma anche per protestare, per corteggiare, per provocare, per offendere. È il caso dei stornelli a dispetto: “Fiore dell’uva | e l’uva non po’ fa’ de primavera | manco a facciaccia tua po’ fa’ figura”.

Il professore Luigi Cimarra, tra i più grandi esperti della Tuscia

Un canto amebeo, vale a dire a voci alterne, fatto di competizione e di sfottò, che riporta addirittura a Virgilio, alla poesia pastorale classica, a Teocrito e alle Bucoliche. “Vignanellese | c’hanno i ccolori delle mella frace | c’hanno i ccolori delle mella frace | tanto so’ mejo le bassanellese”. L’incontro, allietato dalle note del Maestro Roberto Mattioni e della Professoressa Mariarita Laugeni, ha visto anche la partecipazione dell’etnologo Luigi Cimarra, tra i più grandi esperti della Tuscia e del suo repertorio, e di Patrizia Pellegrini, dell’associazione Pastorella di Faleria. E tra sillabe, accenti e strofe, c’è spazio anche per una profezia: “Quelli di cui stiamo parlando erano i tempi della raccolta a mano delle nocchie, di intere famiglie a lavoro nei loro piccoli appezzamenti. Presto, per la Ferrero, vedremo nocchieti in continuum da qui al mare, da qui alla Maremma”. E di cantare, quello è certo, non ci sarà tempo. E forse nemmeno voglia.

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