Nella foto una scena del film

Ci sono film e film… e questo ˗ prodotto nel 1961, per la regia di Luciano Salce, con Ugo Tognazzi, George Wilson, Stefania Sandrelli e Gianrico Tedeschi, sceneggiatura dello stesso Salce, Castellano e Pipolo, prodotto dal DDL Cinematografica Spa (di Agostino De Laurentis, per intenderci) e colonna sonora del mitico Ennio Morricone (alla sua prima composizione per il cinema) ˗ ha fatto decisamente scuola. Nel senso doppio del termine: ha rappresentato un’epoca ed è rimasto nell’immaginario collettivo delle generazioni che quell’epoca l’hanno attraversata e superata.

Il film narra le peripezie di Pino Arcovazzi, un ambizioso, esaltato e zelante graduato delle “Brigate nere”, (interpretato da Ugo Tognazzi), che spera di diventare “Federale”, a cui è stato ordinato, durante l’occupazione tedesca dell’Italia, di recarsi da Roma a Villalago, in Abruzzo, dove risiede Erminio Bonafé (interpretato da George Wilson), un eminente professore e filosofo antifascista, al fine di arrestarlo e farne un forzato propagandista della “Repubblica sociale italiana”. Una volta arrestato abbastanza facilmente, durante il viaggio di ritorno, però, per il graduato le cose si complicano maledettamente. Attraverso alterne vicende, diversi pericoli e strani incontri, il fascista e l’antifascista ˗ in viaggio inizialmente su un sidecar, poi su un tandem, successivamente sul treno e sulla corriera, in seguito su mezzo anfibio dal serbatoio galleggiante di un aereo, infine a piedi ˗ prima perdono e poi ritrovano la strada per la Capitale, dove giungono, a loro insaputa, il giorno stesso, 4 giugno del 1944, in cui Roma viene liberata dagli Alleati. L’ingresso in città di Arcovazzi, con tanto di divisa, viene accolto in malo modo dalla folla scesa in piazza a festeggiare, che lo irride e malmena. A salvarlo è il professore antifascista Bonafé, il quale gli offre la propria giacca di borghese. A sugello di un’amicizia insolita e rara nata proprio in quel viaggio assai curioso che li ha visti nemici e diversi.

Una lunga sequenza, almeno, di questa pellicola, dal minuto 64, quella in cui Pino Arcovazzi (Ugo Tognazzi) incontra il matto (Franco Giacobini) chiedendogli se il paese che si vede alle loro spalle (Riano) è il filmico paese denominato Rocca Sabina, dove vive il poeta antifascista Arcangelo Bardacci, è stata girata a Riano, in una cava oramai consunta, corrosa dal lavoro manuale e urbanistico dell’uomo e dal passaggio inesorabile del tempo, che tutto vive e tutto trasforma. Una cava di tufo, molto probabilmente, situata nell’attuale area di Via Piana Perina del paese. La prospettiva della ripresa scenica mostra, in lontananza, il centro storico del paese e la zona denominata oggigiorno de “La casetta”. Il punto di vista, da cui Luciano Salce ha fatto le riprese, siamo riusciti, pressappoco, a individuarlo, grazie all’amico fotografo Danilo Rossi, tramite alcune immagini satellitari, che al momento non sono pubblicabili, ma che confermano le nostre iniziali supposizioni sul “dove” quella manciata di minuti è stata impressa su pellicola.

Nella foto una scena del film girata nella cava di Riano

Per la mia ricerca tutto è partito dalla foto con cui si apre quest’articolo, dalla chiacchierata a casa di un cittadino rianese, Silvio Mariani e dal luogo che in una lunga inquadratura del film viene ripreso dalla sequenza da cui la foto è stata estratta e che fa capire che si tratta di un paesaggio in tufo affacciato in lontananza sul centro storico del paese, che si intravede, nel suo tornante principale, alle spalle degli attori.

Nella foto una scena del film girata nella cava di Riano

“Ero giovanissimo, avrò avuto 15 anni ˗ mi ha detto Silvio Mariani, oggi 79 anni ˗ e avevo cominciato a lavorare da poco in una delle cave di tufo di Via Piana Perina dove è stato girato il film con Ugo Tognazzi e Franco Giacobini, in cui Tognazzi faceva un soldato fascista e l’altro impersonava la parte di uno smemorato che non si ricordava nulla e che faceva finta di non sapere nulla, per non compromettersi. Lo ricordo perché ci lavoravo da poco in quella cava e poi perché vedere girare un film non era una cosa di tutti i gironi. Pensa checontinuai a fare il cavatore fino a 20 anni, poi andai in Aeronautica e finito il militare tornai a cavare il tufo…”.

La pellicola è stata girata anche a Castel San Pietro, Roma, Genzano, Cori e Guidonia Montecelio.

Il regista, Luciano Salce, teneva tanto a questo film, per ciò che raccontava e per ciò che rievocava, anche per ragioni “biografiche”. L’8 settembre del 1943, il giorno dell’armistizio, Salce fu fatto prigioniero dai tedeschi e deportato presso il campo di lavoro Stalag VII-A nei pressi di Moosburg per prigionieri di guerra, dove è rimasto per due anni. La drammatica esperienza lo segnò per sempre anche fisicamente, dal momento che i tedeschi, in quel maledetto campo, gli estrassero l’oro della protesi mascellare dalla bocca, deformandogliela del tutto.

Leggenda vuole che per i ruoli di Arcovazzi e di Bonafè i produttori inizialmente pensarono a Totò e a Vittorio De Sica, per poi puntare su Ugo Tognazzi (qui alla sua prima interpretazione drammatica) e George Wilson. In un’intervista, tempo dopo, Raimondo Vianello, dichiarò a tal proposito che a lui sarebbe piaciuto tanto interpretare il ruolo di Benafé, ma che Tognazzi non lo volle e la qual cosa mise la parola fine alla loro accoppiata artistica.

Da segnalare l’indimenticabile interpretazione di Stefania Sandrelli, che nel film impersona il primo vero ruolo importante della sua carriera, la ladruncola Lisa, e di Gianrico Tedeschi, deceduto a cent’anni, proprio a Riano, nel 2020, nei panni di Arcangelo Bardacci.

Nella foto Stefani Sandrelli in una scena del film

Geniale la sceneggiatura, tanto che ancora oggi alcune frasi di questo film vengono ricordate e riproposte. Tra le più riuscite, anche per via delle cattive condizioni delle nostre attuali strade, la comica situazione ritmica Buca. Sasso. Buca con acqua…, che sul sidecar per strade dissestate, Arcovazzi ripete al professore, per cercare di anticipare i sobbalzi o gli schizzi di acqua o di fango che, malgrado gli avvertimenti, investono entrambi.

Memorabile la colonna sonora firmata dal Maestro Ennio Morricone: rullare di tamburini, seguito dai suoni gravi di un basso tuba, che introducono una marcia con un motivetto saltellante suonato da flauti e clarinetti…

Il film, dalla durata di 102 minuti, che è considerato un cult, un classico della commedia all’italiana, restaurato nel 2020, molto apprezzato dal pubblico di allora, divise invece la critica cinematografica.

Secondo Leo Pistelli, su “La Stampa”, il 17 settembre del 1961, “Il federale” “[…] è una divertente satira delle gerarchie fasciste nell’ultimo e disperato scorcio della guerra, e, più ancora, una felice messa a punto di Ugo Tognazzi, come attore disciplinato ed efficace. Duro di cervice ma di cuore non cattivo”.

Lapidaria invece “l’Unità”, che in data 1 settembre del 1961 scrisse: “Non bisogna lanciarsi invogliare dal titolo appetitoso di questo film, che promette la satira di un tipico personaggio della civiltà in orbace, e ci offre, invece, una squallida farsaccia qualunquista, ambientata nei giorni che seguirono l’8 settembre fino alla liberazione di Roma. […] Il film si iscrive in quella ripugnante fioritura di cinema pseudo-civile, che ha affrontato, in questi ultimi tempi, i temi della Resistenza con gli stessi modi da commedia dialettale che caratterizzarono un tempo i vari ‘Pane, amore, e….’”.

A questo punto non resta che guardare o riguardarlo.
Per chi vuole, per chi può: buona visione!

P.S. Per vedere il film sono disponibili sia “YouTube” che la visione in streaming sul canale “Raro video” di “Amazon Prime”.

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