«Mi hanno sempre attratto persone capaci di andare controcorrente, anche a costo dell’isolamento, della solitudine. Persone capaci di raccontare storie, di mostrare visioni altre. E inevitabilmente hanno acceso la mia curiosità, perché, come diceva il mio amico Eduardo Galeano, capace di raccontare la storia dell’America Latina attraverso racconti ironici e apparentemente non importanti, fatti di cronaca, ‘il cammino si fa andando’, non sai mai dove queste storie ti possano portare».
Lo diceva Gianni Minà, che in fatto di viaggi geografici ed umani, per decenni, è stato il numero uno. Si raccontava così il più formidabile “periodista” narratore italiano, il giornalista dal volto umile e dalla coscienza critica, che quando intervistava, raccontava o informava metteva sempre il senso dei ‘dannati’ al centro del suo lavoro. In modo tale da inquadrare il mondo con altri, e diversi, occhi.
L’Itaca esistenziale di Gianni Minà, nato a Torino nel 1938, è stata piena e pregna di momenti.
Gianni Minà è stato uno dei più grandi giornalisti conosciuti al mondo.
In sessant’anni di carriera ha fatto reportage e documentari che hanno evoluto il linguaggio stesso del giornalismo.
Ha seguito Mondiali di calcio e Olimpiadi in presa diretta.
Ha intervistato personaggi importantissimi, da Fidel Castro (celebre una sua intervista che è durata sedici ore) a Muhammad Ali, passando per Rigoberta Menchù, il subcomandante Marcos, Gabriel Garcia Marquez e Diego Armando Maradona.
Ha colloquiato, in maniera originale e inimitabile, con personaggi quali Federico Fellini, Eduardo De Filippo, Pietro Mennea e Massimo Troisi.
Alcune strisce di questi incontri sono oggi dei veri e propri cult nel mondo social. Interviste che sono vere e proprie pietre miliari della cultura internazionale.
La moglie, Loredana Macchietti, che è stata l’ideatrice del libro di Gianni Minà su Muhammad Ali (che ha la prefazione di Mina, la cantante) lo definiva: “Un giornalista per tre quarti intellettuale, ma con il cuore sempre rivolto allo sport”. Un giorno di otto anni fa gli chiesi pubblicamente se si ci rivedeva in questa qualifica. E lui mi rispose di sì. Perché lo sport, per Gianni Minà, è stato soprattutto un racconto di evoluzione sociale. Di divulgazione culturale.
Legatissimo all’America del Sud, è stato editore e direttore della rivista “Latinoamerica e tutti i sud del mondo”. Una rivista fondamentale per capire l’evoluzione culturale, politica e sociale di quella porzione di mondo.
Quando Gianni Minà raccontava era come se ti mettesse davanti ad una finestra, da cui affacciarsi per vedere tutte le sue parole messe in fila.
In un viaggio in macchina, da Roma e Riano, nel 2015, parlando di cultura e di politica internazionale, mi fece una distinzione tra “parolai” e “parolieri” che, ancora oggi, menziono spesso alle persone a me più care.
Ci mancherà molto Gianni Minà, l’intervistatore del mondo. L’uomo che più di ogni altra persona al mondo era capace di dare del “tu” a chiunque, dal più potente al più semplice. Quasi a dimostrazione dell’eguaglianza rispettosa da lui sempre predicata e attuata. Con coerenza e con coraggio. In nome della libertà.
Che la terra gli sia lieve!

(La foto, scattata a Riano il 16 aprile 2015, è tratta dall’archivio de “Il nuovo magazine”.)

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