Il giallo e il blu, i colori del Faleria e dei suoi ultrà
Il giallo e il blu del Faleria sventola anche sul calcio femminile

Uno dei cori da stadio a cui sono più affezionato suona così: “Mi hanno detto sei esagerato, non sei lo stesso sei un po’ cambiato, io per Faleria sono malato, vado a vederlo per tutto il campionato“. La melodia è quella di “Mamma Maria”, dei Ricchi e Poveri. Il testo, invece, è degli Ultras Faleria. Ed è vero, io per Faleria sono malato. Per questo quando il direttore ha dettato la linea per il numero di dicembre, tutto incentrato sui colori, non ho avuto dubbi: il mio articolo avrebbe parlato del giallo e del blu. I colori del Faleria.

È vero, sono esagerato, sono malato, sicuramente sono anche monotematico. Ma c’è qualcosa che mi si smuove dentro quando devo parlare del Faleria, qualcosa a metà strada tra le farfalle nello stomaco e un buco nero. Sarebbe interessante sapere cosa mi passa in testa quando sono davanti a una partita di pallone, capire cosa penso quando penso al Faleria. Per farlo ho ripreso in mano il bellissimo libro di Simon Critchley, edito da Einaudi, “A cosa pensiamo quando pensiamo al calcio”. In una delle pagine iniziali si legge: “Il calcio riguarda così tanti aspetti della nostra esistenza, tutti così complessi, contraddittori e conflittuali: memoria, Storia, luoghi, classi sociali, questioni di genere, identità famigliare, tribale e nazionale, natura dei gruppi, sia quelli che compongono le squadre sia i loro tifosi”.

Ecco, forse qualcosa in più l’ho capita. Parlare di calcio, parlare del Faleria, per me vuol dire parlare di identità. Di me, di noi, di un qualcosa uguale a sé stesso. E forse mi possono capire bene a Sant’Oreste, dove il Soratte ha due squadre, una in Prima Categoria e un’altra tutta composta di Under 21. Mi possono capire a Rignano, dove alla Vigor che continua a vincere si unisce l’idea unica degli amatori. E così a Castelnuovo, a Riano, a Fiano. Un po’ ovunque e ovunque in maniera diversa.

Ultras Faleria ad Acquapendente, per Torrese-Faleria. Una trasferta da 200km
Ultras Faleria ad Acquapendente, per Torrese-Faleria. Una trasferta da 200km

Parlare di calcio vuol dire sentirsi parte di un gruppo, che sia una squadra, un paese, una tifoseria. E forse più quel qualcosa è piccolo e sconosciuto, più è tuo, solo tuo, solo nostro. Un giorno in classe un alunno mi ha detto che il Faleria era la squadra più scarsa che conosceva. Ha rischiato la nota, ovviamente, ma le sue parole mi sono state utili per mettere ancora più a fuoco un amore totalmente folle e totalmente inutile. A pensarci bene il Faleria è veramente la squadra meno forte della nostra zona (a parte chi proprio una squadra non ce l’ha). Terza Categoria, bassifondi del calcio. E a nessuno importa nulla. Lo dicono ancora gli Ultras Faleria, in un altro coro: “Lo giuro, non conta la partita. Lo giuro, mi basta star con te”.

È con questo spirito che agli inizi di novembre, il Faleria ha scritto una piccola, personale, pagina di storia. Il folle calendario del girone unico di Viterbo metteva in programma una trasferta di oltre 200km tra andata e ritorno: si giocava con la Torrese, compagine di Torre Alfina, frazione di Acquapendente. C’era solo un modo di affrontarla: insieme. Il più vicini possibili, il più compatti che si potesse. Tutti sul pullman, allora. Pagando ognuno di tasca propria, tifosi e calciatori, con un grande sforzo della dirigenza, perché a queste latitudini del calcio di soldi non ce ne sono mai. Un viaggio della speranza in cui la voce era già finita prima di arrivare. Un’Odissea tra la Tuscia viterbese, con protagonisti un’Armata Brancaleone di tifosi, calciatori e dirigenti, giovani e vecchi, adulti e ragazzini. Un viaggio d’amore che non poteva che finire con una vittoria, la prima del campionato, in rimonta, corsara. Un viaggio folle per portare più a nord possibile, quasi al confine con la Toscana, l’inno a San Giuliano, le bandiere del Faleria, i fumogeni color giallo e blu.

Mi sconforta il pensiero del ragazzo o della ragazza – scriveva il filosofo e psicologo William James, nel 1899 – dell’uomo o della donna, che non sono mai stati presi dall’incantesimo di questa misteriosa vita sensoriale, in tutta la sua irrazionalità, se così vogliamo chiamarla, ma anche in tutta la sua pienezza e la sua gioia”. Una vita sensoriale che è solo del calcio, che è solo della squadra del tuo Paese. O almeno è così per noi.

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