“Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.”

Primo Levi.

 

“Se questo è un uomo” di Primo Levi è, forse, la poesia che in questi giorni dovrebbe aleggiare nei pertugi di tutto il mondo. Una poesia purtroppo attuale, nonostante sia stata composta a cavallo tra la prima e la seconda metà del Novecento in seguito alla seconda guerra mondiale, perché nella prima mattinata del ventiquattro febbraio dell’anno corrente, Putin, il presidente della Russia, ha dichiarato guerra all’Ucraina, generando già centinaia di vittime.

Si dice che la storia ci aiuti a ricordare ciò che è accaduto. Si dice che studiare la storia sia necessario per non commettere gli stessi errori. Insomma, Cicerone direbbe che la storia è magistra vitae. Maestra di vita. Ed è vero, se solo riuscissimo a cogliere i suoi insegnamenti. Perché sì, la storia insegna, ma l’essere umano non impara. E non c’è nulla di più vero. Nel corso dei secoli c’è stata una miriade di guerre e battaglie, e se l’umanità avesse imparato qualcosa dalla storia, non avrebbe di certo continuato a perpetuarle.

Siamo nel 2022 e, a distanza di quasi un secolo, purtroppo, le parole di Primo Levi sono state dimenticate; ma oggi più che mai è giusto rileggerle, memorizzarle, interiorizzarle. Nella poesia, che si trova in una delle prime pagine del romanzo omonimo, Primo Levi distingue due gruppi di persone: chi ha dovuto affrontare la guerra e chi, comodamente, se ne stava in casa al riparo dal freddo gelido e in compagnia dei propri cari. E si rivolge proprio a quest’ultimo gruppo. “Considerate se questo è un uomo”, ci dice, un uomo che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per mangiare, che muore ingiustamente. “Considerate se questa è una donna”, continua, senza capelli e senza un nome, non riesce a ricordare, ha gli occhi vuoti e trema per il freddo.

Il romanzo di Primo Levi ”Se questo è un uomo”, copertina.

È una donna questa? È un uomo questo? È vita la loro? La guerra la vita l’annienta: con un colpo, in una frazione di secondo. È giusto lavorare senza sosta nel fango? Morire di fame? E di freddo? È giusto non ricordare più nemmeno il proprio nome? O avere vacui gli occhi? È giusto morire senza una colpa? Sono tutti interrogativi che Primo Levi implicitamente pone a noi lettori. E attraverso l’utilizzo di una serie di imperativi ordina di riflettere su ciò che è accaduto durante la guerra, in ogni momento della giornata; ordina di far conoscere questo pezzo di storia ai nostri figli affinché l’orrore della guerra non si ripeta mai più; ordina di vivere tutti questi interrogativi affinché tutti gli uomini e le donne possano considerarsi veramente tali, esseri umani.

E poi manda una sorta di “maledizione” ai lettori: se non ricordiamo, se dimentichiamo, se non impariamo da quello che è stato, la nostra casa deve crollare, la malattia ci deve avvolgere e i nostri figli devono allontanarsi da noi, per sempre. Parole forti, dense di significato, parole che fanno venire i brividi. Una maledizione che si potrebbe avverare perché noi effettivamente abbiamo dimenticato, perché noi non abbiamo imparato abbastanza. Un prezzo da pagare per non aver ricordato queste parole, per non aver saputo porre fine all’orrore della guerra che continua, ahinoi, a esistere, ad annientare, a uccidere.

Campo di concentramento di Auschwitz, dove Primo Levi fu deportato nel Gennaio del 1944 in quanto ebreo.

«Io pensavo che la vita fuori era bella, e sarebbe ancora stata bella, e sarebbe stato veramente un peccato lasciarsi sommergere adesso». Queste furono le parole di Primo Levi che convinsero Roberto Benigni a intitolare il suo film capolavoro “La vita è bella”, oltre a quelle di  Lev Trockij: «la vita è bella. Possano le generazioni future liberarla da ogni male, oppressione e violenza e goderla in tutto il suo splendore».

 È vero, la vita è bella, ma senza la guerra.

 

 

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