L'endometriosi non è invisibile...è semmai tangibile.

Sarà lo stress.

Si riposi, vedrà che non è nulla.

Lei non ha nulla glielo assicuro, è solo stanca.

È molto probabile che sia una conseguenza psicosomatica. Si prenda una vacanza, vedrà che le passa tutto.

Soffre di colon irritabile. Risposo e dieta.

È tutto nella sua testa. Provi a calmarsi.

Queste sono le frasi che una donna si sente dire sovente in fase di diagnosi. Viene derisa, sminuita, non creduta, considerata esagerata, pazza… isterica. Sembra quasi un tuffo nel passato. Oppure è più vero, forse, che dal passato non siamo poi così lontani. Tanti sono i fatti che lasciano pensarlo.

Incompetenza, dunque, è la parola chiave. Il congedo lavorativo in caso di mestruazioni dolorose è spesso percepito come un’esagerazione, un capriccio.

L’endometriosi, come anche la vulvodinia e altre patologie, è una di quelle malattie che può essere tranquillamente accostata alla parola incompetenza. La stessa incompetenza che fa sì che per ricevere una diagnosi di endometriosi possano volerci tra i 7 e gli 8 anni.

Eh? Addirittura? Si, avete letto bene. Questa è una patologia presa troppo spesso sottogamba. Purtroppo.

L’endometriosi è una cosa seria. Si stima che 1 donna su 10 soffra di questa patologia.                                               

L’endometriosi è una malattia inserita nell’elenco delle patologie croniche ed invalidanti.

L’endometriosi è una malattia complessa che colpisce l’apparato genitale femminile e che ha origine dalla presenza anomala dell’endometrio, il tessuto che riveste la parete interna dell’utero, in altri organi (ad esempio ovaie, tube, peritoneo, vagina, intestino, vescica), che provoca dolori fortissimi, tanto da limitare la vita quotidiana e causare infertilità.

Si può morire a causa dell’endometriosi.

Combattere l’endometriosi con la risata: la terapia d’urto di Francesca Magda

“Il fatto che una persona ironizzi su qualcosa non vuol dire che quella persona non prenda la cosa sul serio. Anzi, probabilmente l’ha presa tanto sul serio. Tanto che, dopo aver attraversato il buco nero, gli viene un po’ da ridere. Il buco nero rimane lì, come l’incertezza di rientrarci. Vivi col campanello d’allarme che una cosa bruttissima potrebbe risuccedere domani, tra un’ora, tra tre ore! Però dall’altra parte pensi…ci sono malattie peggiori: c’è gente che non usa l’intelligenza, e quello mi sembra molto peggio.”

Francesca Magda

Francesca Magda

Abbiamo incontrato Francesca Magda, attivista per “La voce di una è la voce di tutte”, un’organizzazione di volontariato per tutte le donne affette da endometriosi.

Grazie Francesca per la sua disponibilità. Può illustrarci di cosa si occupa l’associazione di cui fa parte?

Inizio col dirle che la presidentessa dell’associazione è Vania Mento, che non posso che definire una guerriera. L’endometriosi stava per toglierle tutto, anche la vita…ma come dicevo è una guerriera e ha vinto lei. Tutte le donne che fanno parte di questa associazione sono delle guerriere, non c’è alcun dubbio.

Le finalità di tale associazione no profit sono sostanzialmente quelle di informare e sensibilizzare il territorio sulle problematiche legate alla conoscenza dell’endometriosi attraverso l’attivazione di progetti come, ad esempio, la realizzazione di opuscoli, periodici, strumenti multimediali che informino e che promuovano la conoscenza tra le persone malate, tra la classe medica e la popolazione in generale.

Come associazione abbiamo istituito il Telefono Giallo, ovvero quel numero di telefono che le donne possono chiamare per essere rincuorate, avere delle informazioni o anche solo parlare, sfogarsi. Il giallo è il colore dedicato all’endometriosi. Abbiamo anche dipinto le panchine di questo colore. Diciamo che è un’associazione abbastanza autogestita, però con delle donne veramente fantastiche, valorose.

 

Ci parli un po’ di lei. Lei soffre di endometriosi?

Si. Io ho scoperto di avere l’endometriosi circa quattro anni fa. Prima di allora ho condotto una vita normale, così come cerco di fare anche ora. Personalmente ho la fortuna di lavorare da casa ed essendo un’artista che si occupa di dipinti e tatuaggi, ho potuto trasferirmi in un paesino in campagna per cercare di avere una vita un po’ più tranquilla. Qui però mi è venuto il pensiero per tutte quelle donne che non possono permettersi di fare quello che sto facendo io. Intendo quelle donne che convivono con questa malattia e che sono costrette a prendere, ad esempio mezzi pubblici, a stare tante ore in piedi, a convivere con il dolore e magari a essere anche sottovalutate nel loro disagio.

A un certo punto ho detto: “Se non faccio io qualcosa per questa gente chi lo fa?”. Tutto sommato io posso dirmi fortunata nel condurre una vita abbastanza normale.

Come ha scoperto di avere questa patologia?

Per puro caso. Era un po’ di tempo che stavo male con l’intestino e pensavo di avere l’intestino irritabile sinceramente. Questa cosa poi è andata peggiorando e una mattina mi sono svegliata con un dolore pazzesco che non saprei descrivere. Alcune donne che lo hanno vissuto lo paragonano al dolore del parto ma altre donne con endometriosi che sono riuscite a partorire mi hanno detto che non c’è paragone, che è molto più doloroso del parto.

Quella mattina mi sentivo morire, davvero. Non sono potuta andare a lavoro. Per la prima volta in vita mia ho preso un’ambulanza e i portantini mi dicevano che era solo un attacco di panico. Ma io, che ho sofferto di attacchi di panico, sapevo che non era così.

Destino ha voluto che, arrivata al policlinico Umberto Primo di Roma, sono stata visitata da una dottoressa specializzata in endometriosi che mi ha fatto subito la diagnosi.

Come ha reagito quando ha appreso la diagnosi?

Il primo impatto è stato drammatico perché ho preso la cosa con rabbia. Conoscevo il mio dolore, la malattia e quanto questa fosse troppo poco presa sul serio. Poi, però, mi sono imposta di fare qualcosa di utile. È strano ma, superato un picco di dolore pazzesco in cui davvero non desideri alto che finisca tutto, improvvisamente sei pervaso da un senso di leggerezza che ti fa pensare: “Ma la gente normale, che non soffre così tanto, lo sa cosa vuol dire quando superi un dolore così grande, ti affacci alla finestra e vedi il cielo azzurro e ti rendi conto che è davvero azzurro?”. Non so se mi spiego.

Si, è chiaro. E cosa ha deciso di fare?

Ho cominciato a lavorare con Fondazione Italiana Endometriosi collaborando inizialmente per due rubriche. Io sono un’inguaribile ottimista. Appena ho scoperto di avere questa patologia ho scritto un post sulla pagina di questa associazione. Un post ironico che fece un successo pazzesco e da lì è nata la rubrica: “Io e l’endometriosi-diario di un’inguaribile ottimista”; e poi un’altra minore dal titolo: “Per riderci su”.

Secondo me tutto, se visto da un punto di vista giusto, diventa anche incredibilmente comico.

E poi sono approdata in “La voce di una è la voce di tutte”, per cui ho creato un primo video che affronta questa patologia in termini molto ironici e devo dire che è andato molto bene. Curo inoltre la rubrica: “Girasoli che non girano” che ho deciso di chiamare così perché il girasole è il simbolo dell’endometriosi e, immaginarsi un girasole che “non si comporta da girasole”, dà un senso a quello che per me è questa malattia.

Clicca qui per il video “L’endometriosi raccontata da Francesca”

Qual è la cosa che fa più male a una donna con l’endometriosi?

Tante donne che hanno questa malattia vivono nell’ombra di altre patologie: non vengono capite e questa è la cosa più grave. Vivono la loro vita, le loro giornate con una tristezza incredibile e secondo me è giusto, oltre a fare informazione e a prendere sul serio il disagio che questa malattia comporta, fare anche capire loro che innanzi tutto è possibile vivere una vita quasi normale (anche se non sempre è possibile) e poi che anche nei casi più gravi, vale sempre la pena vedere le cose con il sorriso stampato in faccia.

Leggi l’articolo di Francesca cliccando qui 

La sofferenza come percorso formativo per eccellenza a cui aggiungere il contagio della risata. Lei è molto forte secondo me…

Ma guarda posso essere sincera? Secondo me non è tanto una questione di forza quanto una questione di indole. Io ho sempre riso delle cose che mi spaventavano… Poi in effetti, pensando anche alle ragazze, alla piccola cerchia di ragazze che mi seguono e che leggono le cose che scrivo, anche loro mi dicono cose tipo: “Fra, meno male che mi hai fatto fare una risata tu! Se lo vado a raccontare a un’altra persona tutta questa parte comica non c’è, non la vedo…però hai ragione fa anche ridere questa cosa.” Cerco di dare una chiave di lettura diversa con la quale cercare di stare meno male.

A livello clinico, com’è la sua situazione?

Prevalentemente mi reputo fortunata perché rispetto a tante donne che hanno una situazione molto grave, io non ho una situazione grave ma ho dei sintomi gravi. Semplicemente ho imparato ad accettare. Accetto i momenti di tranquillità, i momenti in cui la cosa diventa ingestibile e magari devo prendermi dei forti antidolorifici…accetto il fatto che magari le cose un giorno potranno anche peggiorare e lì si vedrà che fare…per adesso penso che se presa con uno spirito giusto anche una cosa molto negativa ha qualcosa da insegnarti. Devi imparare a conviverci.

Quanto il social network può essere importante per questo?

Tantissimo. Sembra irrilevante ma l’importanza dei social è stata netta. Grazie ai social abbiamo numerosissime testimonianze di donne. Io poi con i social ci ho sempre fatto tutto. Hanno questo grande potere: possono essere molto costruttivi sotto alcuni punti di vista ed estremamente inutili e distruttivi sotto altri. Il social ti consente di avere un rapporto immediato con le persone che stanno leggendo il tuo pensiero.

Può esser visto come uno strumento smuovi-coscienze quindi?

All’inizio puoi anche pensare che quello che scrivi non scateni niente ma poi, come mi è capitato, vieni a scoprire che magari quelle stesse persone che avevano in precedenza un dubbio, leggendoti, sono andate ad informarsi, si sono fatte la visita… insomma hanno sbloccato una situazione. Anche se hai solo tre contatti, quei tre contatti leggono il tuo pensiero e tu sei responsabile di quello che gli fai capire. C’è un potenziale enorme.

Snoccioliamo un tabù-articolo di Francesca

Vero. Vuole aggiungere qualcosa?

Una cosa che mi piacerebbe che venisse detta e che ho detto anche alla marcia, al flash mob che abbiamo fatto a Roma di recente, è cercare di far capire alle persone quanto sia importante fare attivismo. Anche se quel tipo di problema non ti riguarda personalmente, viviamo tutti sotto lo stesso cielo, in quel pianeta che chiamiamo Terra… il problema di una persona riguarda in qualche modo anche te. Bisogna cercare di piantare questi semini di positività. Non bisogna fregarsene di chi sta male.

Ci dica un po’ di più di questo flash mob.

Si. Il flash mob si è svolto a Roma, in piazza Castellani, il 26 marzo scorso. Eravamo un bel po’ di donne e c’era anche il ministro Califano. Sembra ci stiano ascoltando. Ci stanno lavorando, Ci hanno detto così. Probabilmente metteranno il diritto alla 104 per i casi più gravi di endometriosi. Lavoreranno anche per trovare una soluzione per quelle donne che trovano difficoltoso persino recarsi a lavoro.

Quindi qualche cambiamento è all’orizzonte?

Ci sono donne, tra cui una che conosco personalmente, obbligate a farsi fare il certificato dallo psicologo per non recarsi a lavoro. Lei mi dice che preferisce passare per matta perché così può lavorare da casa. È un sistema che va cambiato. Però sono fiduciosa. Perché guarda io ho cominciato a fare attivismo circa quattro anni fa, subito dopo che ho scoperto di avere questa malattia e devo dire che in quattro anni ho visto tantissimi cambiamenti.

Per esempio?

Qualcosa sta cambiando nel senso che noi attiviste ci stiamo muovendo tanto e cerchiamo di parlarne il più possibile. Anche solo mettere la pulce nell’orecchio delle persone è importante. Spiegare alle donne che soffrire tanto durante il ciclo non è normale. Un conto è il doloretto ma se stai malissimo non è mai normale. Speriamo che anno dopo anno si prenda la cosa sempre più sul serio fino ad arrivare ad avere delle soluzioni che attualmente non esistono. Per quanto riguarda l’iter clinico, nei casi più gravi in molti consigliano l‘operazione, ma non è detto che funzioni del tutto. Qualcuna si è operata e ha risolto, altre donne si sono operate e la malattia si è ripresentata e ora sono all’ottavo o al nono intervento.

 

Ringraziando ancora una volta Francesca, che ci ha consentito di vedere da un po’ più vicino la vicenda, vorrei marcare l’importanza sulla questione dell’attivismo.

Parlarne, esprimersi, raccontare. Urge attivismo e condivisione per far sì che le cose si sblocchino, che migliorino. Che le cose cambino. Per far sì che le nostre voci vengano udite, ascoltate e che qualcosa si metta in moto.

Quello dell’endometriosi, probabilmente, è un problema che affligge la donna fin dai tempi più remoti, eppure è solo adesso che le cose stanno cambiando. La politica sta prendendo in seria considerazione la patologia. E grazie a donne come Francesca, Giorgia Soleri, e tante altre, che al silenzio hanno preferito l’urlo della condivisione, che la sfera della consapevolezza si innalza e al contempo, in modo inversamente proporzionale, quella dell’ignoranza diminuisce.

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