Novantotto anni fa oggi, il 10 giugno 1924, a Roma, sul Lungotevere Arnaldo da Brescia veniva rapito, e ucciso, da mano fascista, Giacomo Matteotti, il cui corpo sarà ritrovato sessantasei giorni dopo, il 16 agosto, presso la Quartarella di Riano.

Ci sono avvenimenti, fatti ed episodi nella cronaca anche occasionale, non prevista, di una comunità, di una popolazione e di un Paese che hanno il sublime potere di rievocare, di rimandare il nastro del registratore del tempo indietro di decenni, quasi fino a far rivivere, nella sua interezza, compiuta o no che sia, nella mente di ognuno di noi periodi della storia che abbiamo vissuto e visto o letto e studiato, magari in qualche libro ingiallito anch’esso dal tempo o in qualche documentario o film d’annata trasmesso in sciupato bianco e nero, o più semplicemente sentito raccontare, probabilmente dai nostri avi in qualche occasione

Parlare del delitto Matteotti, a distanza di quasi 20 lustri, serve. Serve ancora. Parlarne è una doverosa sfida all’oblio. Una sorta di rimedio contro la miseria civile che tende a far scomparire ogni traccia della nostra memoria storica.

Giacomo Matteotti è uno dei personaggi più conosciuti e celebrati in Italia e nel mondo. Lo confermano le vie e le piazze a lui dedicate. Si pensi che nella classifica dei toponimi urbani più frequenti negli 8.100 Comuni d’Italia, Giacomo Matteotti occupa il settimo posto, con 3.292 citazioni.

Questo dato, elaborato da Rion su dati Seat/Pagine Gialle – insieme a quello secondo cui il nome di Matteotti è il primo in assoluto nella classifica relativa alle vittime di guerre e imprese patriottiche, di atti terroristici e azioni criminali – fa capire quanto il nome, la storia e le vicissitudini di questo personaggio fanno parte del patrimonio collettivo della nostra nazione

Del suo delitto hanno scritto poeti, scrittori e letterati, italiani e non.

In questa mia Itaca, in occasione di quest’anniversario, mi fa piacere riportare i versi con cui, alcune settimane dopo il delitto di Giacomo Matteotti, il poeta spagnolo Miguel de Unamuno, da Fuerteventura, isola subtropicale delle Canarie, dove questi viveva confinato, ha reso omaggio al leader antifascista:

«Sereno e solo, in riva all’Atlantico sonante, Unamuno saluta la grande ombra di Matteotti. O mio fratello! Insieme ci ergemmo contro l’ignominia. Tu irrorasti del tuo nobil sangue l’inaridito cuore del popol tuo: e da quel cuore, dal tuo sangue, adesso fioriscono i virgulti imperituri. Tu sei l’Italia, o mio grande fratello… No, tu sei molto di più: sei la protesta dell’anima del mondo. Ave, fratello! La madre del tribuno spento oscenamente v’impone di rendere – poiché nessuno le renderà più mai il cuore del suo cuore –, o trogloditi, la dignità, la libertà, l’onore.»

Dignità, libertà e onore, appunto. Materie delicate per tempi alquanto bui.

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