“Gli uomini che sono passati dalla mia vita li ricordo così, alcuni per la qualità della loro pelle, altri per il sapore dei loro baci, l’odore dei loro indumenti o il tono dei loro sussurri, e quasi tutti sono associati ad un alimento particolare. Il piacere carnale più intenso, goduto senza fretta in un letto disordinato e clandestino, combinazione perfetta di carezze, risate e giochi della mente, sa di baguette, prosciutto, formaggio francese e vino del Reno. Non posso separare l’erotismo dal cibo, e non vedo nessun buon motivo per farlo”.

Isabel Allende, “Afrodita: racconti, ricette e altri afrodisiaci”.

Dall’antichità fino ai nostri giorni, il cibo e il sesso vengono considerati  i due elementi cardine del piacere: spesso si compenetrano l’uno nell’altro e così, i due piaceri, danno vita a potenti esperienze sensoriali. Spesso si parla di cibi afrodisiaci in grado di stimolare l’impulso sessuale. La parola afrodisiaco è stata coniata dal nome Afrodite, dea greca della bellezza, dell’amore, del desiderio e di tutti gli aspetti della sessualità. Il cibo e il sesso hanno sempre trovato largo spazio nelle pagine di letteratura: già gli antichi greci e gli antichi romani tessevano le lodi di potenti cibi afrodisiaci che, secondo loro, erano in grado di sedurre e di migliorare le prestazioni sessuali.

Gli antichi greci consideravano afrodisiaci alcuni cibi tra cui cipolle, carote, tartufi, miele, uova, e diverse qualità di pesce e crostacei, i quali, non a caso, arrivavano direttamente dal mare, da dove nacque la bella Afrodite. Cibi afrodisiaci, per i greci, erano anche quelli considerati, nella forma, simili ai genitali maschili e femminili: come gli asparagi, afrodisiaco per le donne, in quanto rimandava alla forma fallica, e il fico, afrodisiaco per gli uomini, poiché, per gli antichi greci, simile all’organo genitale femminile.

Anche gli antichi romani davano molta importanza alla potenza afrodisiaca di alcuni cibi. Nelle poesie di Quinto Orazio Flacco, ad esempio, uno dei più importanti poeti dell’Antica Roma, traspare chiaramente il legame tra il cibo e l’eros: infatti, di alcuni cibi, come selvaggina, pesce e ricci di mare scrive se siano sufficienti “per scaldarmi le vene fino alla mente, arricchirmi di nuove speranze, suggerirmi parole scelte e rendermi attraente agli occhi di una donna”. Senza dimenticare, inoltre, il vino a cui Quinto Orazio Flacco attribuisce le potenti caratteristiche di “fonte di svago, spensieratezza e consolazione dalla sofferenza umana”, concordi su questo anche molti altri poeti latini; basti pensare che Bacco, dio del vino e della vendemmia, nonché del piacere dei sensi e del divertimento, era una divinità della religione romana.

Da citare anche Marco Gavio Apicio, gastronomo, cuoco e scrittore dell’Antica Roma, il quale, tra le tante ricette lasciate nel suo “De re coquinaria”, spicca la seguente, afrodisiaca: “per coloro che cercano le gioie di Venere lessare i lampascioni in acqua, poi, come si fa anche per le nozze, servirli con i pinoli, il succo estratto dalla ruchetta e pepe”.

A dispetto di ciò che si immagina, anche nella poesia medievale il binomio eros-cibo era ben presente: basti pensare al Decameron”  il cui autore, Boccaccio, scrive molte metafore legate al cibo, spesso di natura sessuale: è il caso del porro, “dalla testa bianca come gli anziani e dalla coda verde come i giovani”; il porro rappresenta l’eros in età senile, piacere e desiderio che non conoscono età.

I due sommi piaceri, col tempo, hanno continuato a farla da padroni: come non citare Gabriele D’Annunzio, maestro dell’eros e colui che coniò la famosa parola tramezzino. Emergono le lettere che inviava a Barbara Leoni, conosciuta a un concerto di musica classica a Roma con la quale ebbe una relazione che durò cinque anni. Queste lettere costituiscono un vero e proprio vocabolario erotico e culinario. Il cibo fu per il Vate un mezzo con cui sedurre la sua amata Barbara (ma anche tutte le altre donne con le quali ebbe una relazione), divertendosi a creare fantasie culinarie e sessuali per “la rosa e l’amico della rosa”, termini con cui si riferiva agli organi sessuali. Si dice addirittura che D’Annunzio, e prima di lui Giacomo Casanova, mangiasse cioccolato fondente prima di ogni incontro amoroso: probabilmente lo considerava un cibo afrodisiaco.

Da citare anche Pablo Neruda, il quale scrisse numerose poesie che ruotano attorno all’amore per Matilde Urrutia, vivificato dal profumo degli aromi, dalla fragranza dei frutti. Matilde è collegata alle sostanze vitali: pane, vino, olio, aglio. Centrale è una nota poesia (a seguire) in cui traspare chiaramente l’area semantica del cibo collegata a quella del sesso: godere e mangiare. Non a caso, in ambito linguistico, sono molte le espressioni che rimandano a tale aspetto: “ti mangerei di baci”, “ti mangerei con gli occhi”, “ho un desiderio insaziabile”, “consumare un matrimonio/ un pasto”, etc.

“Ho fame della tua bocca, della tua voce, dei tuoi capelli

e vado per le strade senza nutrirmi, silenzioso,

non mi sostiene il pane, l’alba mi sconvolge,

cerco il suono liquido dei tuoi piedi nel giorno.

Sono affamato del tuo riso che scorre,

delle tue mani color di furioso granaio,

ho fame della pallida pietra delle tue unghie,

voglio mangiare la tua pelle come mandorla intatta.

Voglio mangiare il fulmine bruciato nella tua bellezza,

il naso sovrano dell’aitante volto,

voglio mangiare l’ombra fugace delle tue ciglia

e affamato vado e vengo annusando il crepuscolo,

cercandoti, cercando il tuo cuore caldo

come un puma nella solitudine di Quitratúe”.

Per arrivare alla contemporaneità, si citano i versi di una poesia erotica anonima, strutturata sulla base dei cinque sensi che legano i due amanti durante l’amplesso. Si riportano le strofe legate all’olfatto e al gusto dove l’eros e il cibo predominano:

“[…] Emana un odore soave

tutto il tuo corpo, sopraffino;

godono le mie narici

penetranti un profumo sublime

di mare, di olio, di Nero di Troia.

Essenza di rosa non manca

nei pori della tua pelle

cesellata d’avorio.

Fragranza di passione annuso,

proveniente dalla perla del Gargano,

lassù, in quel trabucco

di paposcia aromatizzato […].

[…] Un sapore di rosa è quello che degusta la mia bocca

del tuo nettare bramosa.

Hai fame, ho fame,

dolcezza voglio e desidero,

della tua ambrosia il mio palato si vuol dilettare.

Aperto è il banchetto degli Dei,

e tu, mio Dio, a Zeus somigli,

capo dell’Olimpo, Dio del cielo e del tuono […]”.

Nella prima strofa spiccano alcuni prodotti tipici della Puglia: l’olio, il vino Nero di Troia e la paposcia, una sorta di pan focaccia del Gargano. La seconda strofa è ricca di allusioni sessuali legate al gusto come il nettare, l’ambrosia e il banchetto degli Dei.

Questo excursus temporale denota perfettamente il chiaro legame tra il cibo e il sesso, dall’antichità fino ai nostri giorni, un viaggio nelle pagine di alcuni scrittori e poeti: essere umani che hanno sperimentato i due grandi piaceri della vita, ma artisti che hanno saputo mettere su carta ciò che per gli altri risulta essere ineffabile. Questi due piaceri, molto probabilmente, correranno ancora insieme per la stessa via, in un gioco che sarà destinato a perdurare nel tempo. E per fortuna, potremmo dire! D’altronde proprio Isabel Allende scrisse: “non posso separare l’erotismo dal cibo, e non vedo nessun buon motivo per farlo”.

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