di Italo Arcuri

 

Dimitri è russo. Vive in Italia da sedici anni. Abita con la famiglia nel quadrante nord della provincia di Roma. Ha due figli, ambedue universitari.

Dimitri lo conosco da anni e ogni volta mi dà sempre la stessa identica spiegazione sul perché, nel 2006, abbia preso i bagagli e se ne sia venuto in Italia: “Ci sono venuto per amore. La molla che ti spinge a fare cose che mai avresti immaginato è sempre e solo la passione, Italo…”.

In questa chiacchierata, che attraversa l’attualità e la taglia a fette, e con passione, Dimitri si mostra imbarazzato e un tantino impacciato. “Sapevo che mi avresti cercato…” mi rivela. “Appena ho letto della tua Itaca, di questa tua rubrica, ho pensato che un giorno o l’altro mi avresti chiamato per parlare della mia terra. E ieri, alla luce del caso Dostoevskij, ho capito che lo avresti fatto oggi…”. Lo chiama così – caso Dostoevskij – l’increscioso episodio riguardante la decisione dell’Università Bicocca di Milano di rinviare prima e di far rientrare poi, nell’arco di poco tempo, il corso di Paolo Nori sull’autore di ‘Delitto e castigo’. Motivo? Sanzionare i russi. Anche i classici. Per quanto sta avvenendo in Ucraina.

“Ciò che ho trovato aberrante in tutta questa vicenda – mi confida Dimitri – è la logica da ‘par condicio’ motivata dal prorettore che la sottende. Grottesca e surreale, al contempo: grottesca, perché puntava a mettere una museruola, proprio all’interno di un’Università, alla Cultura classicamente intesa a livello planetario; surreale, in quanto andava a mettere a tacere un pomeriggio di studio su uno scrittore, con la S maiuscola, come Dostoevskij, morto 141 anni fa, e che tra l’altro rischiò di essere fucilato dallo Zar perché troppo rivoluzionario…”. Annuisco. Ha ragione da vendere.

“Parliamo di Russia, Dimitri…” rilancio. La forza della conoscenza, che scavalca il pensiero fino ad assimilarlo del tutto, oltre alla stima, frutto di Cultura condivisa, lo aveva quindi messo in allarme. “Sì, proprio così, Italo, ‘allarme’ è la parola esatta. Perché, credimi, come cittadino russo avverto il peso del momento. Lo avverto così forte da esserne disturbato alquanto…”.

Dimitri, che pensa in russo e che parla in italiano – un italiano che io definisco ‘a scatti’, per quanto cadenzato da intervalli e pause di riflessione – lavora in un’azienda privata. Si occupa di tecnologia applicata alla Cultura. Ama i libri. E legge tanto e di tutto. A casa sua ha una biblioteca così vasta da occupare persino il bagno degli ospiti.

“Cosa vuoi sapere, Italo? Cosa penso di Putin? Cosa provo di fronte a questa guerra? Sono infuriato! Letteralmente idrofobo per quanto sta avvenendo. L’ira mi aumenta per ogni ora di guerra che passa. Vorrei gridare al mondo che è una cosa folle ciò che Putin sta facendo in Ucraina. Vorrei gridarlo ma poi, penso, e mi blocco. Farlo sarebbe mettere a repentaglio i miei cari che vivono a San Pietroburgo. Perché io sono russo nelle viscere, nel profondo e so come funzionano le cose lì. Lo so per conoscenza diretta. E basta vedere come viene trattata la negazione civile della guerra in questi giorni per farsene un’idea: arresti, cariche, fermi e sequestri…”.

Come stanno allora le cose in Russia, Dimitri? Gira un sondaggio propagandistico secondo cui due su tre sarebbero d’accordo con Putin… “Ma quando mai! I russi non vogliono la guerra. E men che meno vogliono questa guerra contro l’Ucraina. Che fino a prova contraria fa parte della nostra Cultura. Parlo di Cultura e non di territorio, attenzione! Parlo di modo di pensare e di vivere. Non di altro. Io lo vado dicendo anche ai miei amici italiani da quando è scoppiata questa guerra: in Russia, una cosa sono i cittadini comuni e altra cosa è l’oligarchia di Putin. Che evidentemente foraggia gli amici degli amici, come a cerchi concentrici, per tenersi in vita”.

Cosa fare, allora, per la pace? “Evitare che gli animi si scaldino ancora di più. Va ristabilito un clima di diplomazia, costi quel che costi. Una diplomazia, anche ipocrita, se serve, ma capace di bloccare adesso e subito l’invasione. Perché questo dobbiamo volere: fermare la guerra. E in questo senso, il Presidente Biden, nemico giurato di Putin, meno parla e meglio è per tutti. Ucraina, soprattutto. Penso che sia arrivato il momento dell’Europa, Italo. Solo l’Europa, a mio modesto avviso, può riportare la pace in quel fazzoletto di terra così caro a tanti di noi che ora sta asciugando lacrime di dolore inenarrabile”.

‘Inenarrabile’, appunto, che significa anche ‘indescrivibile’. E in questa Itaca, che parla di Dimitri, della sua Russia e del suo senso di pace, persino Dostoevskij avrebbe difficoltà a decifrare i contorni di ciò che sta umanamente accadendo. Perché, parafrasandolo: ‘Il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere ma anche nel sapere per cosa si vive’…

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